Il tempo stringe per decidere che fine farà l’Acquedotto Pugliese
Tutti parlano di trasformazione in azienda speciale dell’Acquedotto Pugliese spa, ma finora, purtroppo, non sono stati indicati base giuridica e percorsi amministrativi/deliberativi/legislativi destinati a perseguire un tale risultato. Ne è convinto l’ex consigliere comunale di Altamura, oggi consigliere regionale pugliese, Enzo Colonna, per il quale il futuro di AQP è un tema troppo importante, per perdersi dietro diatribe ideologiche o argomentazioni strumentali. Fermo restando che nessuno sostiene la privatizzazione di AQP e, tanto meno, nessuno caldeggia l’ipotesi di una gara d’appalto per l’affidamento del Servizio Idrico Integrato (che, in tal modo, potrebbe finire in mani private), lo snodo principale è rappresentato dalle modalità del nuovo affidamento per la gestione di un servizio che, riguardando un bene comune e universale come l’acqua, non può che rimanere saldamente in mani pubbliche. In via preliminare, va verificato e approfondito – anche attraverso la formulazione di uno specifico quesito all’Anac e all’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico – un punto dirimente che Colonna ha evidenziato; vale a dire se sia possibile una proroga del termine dell’attuale gestione fissato al 31.12.2018 ritenendolo di natura contrattuale e non legislativamente imposto. Se così fosse, tutta la questione verrebbe risolta alla radice. Ove questa possibilità sia da escludere, le opzioni rimaste in campo sono sostanzialmente due: l’affidamento diretto “in house”, da parte dell’Autorità Idrica Pugliese (unico soggetto competente in materia) del Servizio Idrico Integrato ad AQP che, in tal caso, dovrebbe mutare il suo assetto dovendo prevedere necessariamente la partecipazione dei Comuni (anche attraverso l’AIP) al fine di consentire quel ‘controllo analogo’ necessario, ai sensi di quanto previsto dal diritto comunitario, per consentire questa modalità di affidamento e gestione del servizio. E secondo l’affidamento a una Azienda Speciale, sul modello di quanto fatto (in un contesto completamente diverso, per la verità) dal Comune di Napoli. Su questa scelta ci si è confrontati a lungo in sede di Tavolo Tecnico e il consigliere Colonna (Noi a Sinistra) ha anche provato a illustrare dubbi e perplessità in ordine ad una scelta (quella della trasformazione di AQP in Azienda Speciale) fortemente sostenuta dai componenti del Comitato ‘Acqua Bene Comune’ (autorevolmente supportati dal prof. Alberto Lucarelli), ma che in realtà presenta profili oscuri e nebulosi, in larga parte incompatibili con il quadro normativo nazionale e comunitario. Alla luce di tali difficoltà in ordine alla soluzione “AQP spa trasformata in Azienda Speciale” e andando alla sostanza, poi, risulta davvero fuori luogo una battaglia o polemica finalizzata alla ripubblicizzazione di AQP o contro una presunta deriva privatistica del servizio, trattandosi già ora di una società tutta pugliese, nel senso dei pugliesi, in quanto il 100% del suo capitale sociale è detenuto dalla Regione Puglia. Una polemica paradossale alla luce di storia, natura e funzioni di tale società per la quale valgono perfettamente le argomentazioni sviluppate dai massimi organi giurisdizionali. Corte di Cassazione e Consiglio di Stato, infatti, hanno avuto modo di chiarire in molteplici circostanze che “la qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sé sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, dovendosi procedere ad una valutazione concreta in fatto, caso per caso” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 3 maggio 2005 n. 9096). Nel caso specifico, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4362/2005, ha riconosciuto la natura pubblicistica di AQP spa alla quale è stata riconosciuta esplicitamente la qualifica di “organismo di diritto pubblico ai sensi comunitari” sul presupposto: del controllo patrimoniale integrale da parte di enti pubblici; dei compiti di interesse generale di cui è investito (e cioè lo svolgimento di un servizio pubblico essenziale, con tariffe di servizio di carattere pubblicistico); dell’uso di beni demaniali; dell’obbligo di reinvestire gli utili nell’implementazione del servizio pubblico; del finanziamento con fondi pubblici. A tanto aggiungasi che lo stesso Consiglio di Stato ha chiarito che “la trasformazione dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese in società per azioni, per effetto della privatizzazione soltanto formale disposta dal d.lgs. n. 141/1999, non ne ha mutato la precedente natura pubblicistica, continuando l’AQP ad essere affidatario di rilevanti interessi pubblici e soggiacendo, per queste ragioni, ad un regime giuridico connotato da prevalenti caratteri pubblicistici” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 269). Sotto altro profilo, nessuno può negare le difficoltà e le criticità nell’attuazione di un percorso che porti all’affidamento del Servizio Idrico Integrato, con la modalità “in house”, ad un soggetto come AQP che, per poterlo gestire, dovrebbe necessariamente essere partecipato (in forme tutte da definire) dall’Autorità Idrica Pugliese (ente che rappresenta tutti i Comuni della regione) che, per legge, è l’unico soggetto titolato ad affidare il servizio. Una lettura attenta e una interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo vigente (come richiamato dalla sentenza della Corte costituzionale 62/2012) porta a ritenere che questa strada potrebbe addirittura essere l’unica effettivamente praticabile. Ad ogni modo, a prescindere dagli aspetti di carattere formale (pur di fondamentale importanza e dalle quali non si può prescindere) relative alle modalità di affidamento della gestione, ritengo che la questione sostanziale sia quella di definire strumenti gestionali e operativi, quindi giuridici, che esaltino e preservino la natura e la configurazione giuridica dell’acqua come ‘bene comune’ e della sua gestione che deve necessariamente rimanere in mano pubblica. Per fare questo è necessario occuparsi, assieme alla scelta sul soggetto che dovrà gestire il servizio (e cioè società interamente pubblica o azienda speciale), anche degli strumenti da mettere in campo: per garantire il minimo vitale d’acqua a tutti i cittadini; per realizzare forme di concreta partecipazione dell’utenza e dei lavoratori nel controllo e nella stessa gestione del servizio; per preservare il ‘bene acqua’ favorendo il risparmio e il recupero di questa fondamentale risorsa. Per fare tutto questo, sempre secondo Enzo Colonna, è necessario spogliarsi da pregiudizi ideologici e affrontare i nodi in campo, facendo ciascuno al propria parte in Regione. Magari evitando isterismi e conflittualità inutili per arrivare, già nella prossima riunione del Tavolo fissata per il 29 maggio, a una soluzione condivisa, nell’interesse esclusivo dei cittadini. Tante belle intenzioni senza tenere in conto i tanti, troppi interessi in ballo, col rischio di arrivare alle scadenze imposte dalle norme…con l’acqua alla gola, in via Cognetti….
Antonio De Luigi
Pubblicato il 19 Maggio 2017