Il tesoro di Ruvo, frammenti sparsi
Nel 1820 nelle campagne di Ruvo a seguito di una scoperta fortuita si scatenò il più grande saccheggio archeologico della storia d’Italia. Occorsero molti anni perché l’Autorità si decidesse a porre fine a quello scempio. Quando ciò avvenne era troppo tardi. Il territorio rubastino offre oggi agli archeologi (e ancora a qualche ostinato tombarolo) solo le briciole di un patrimonio inestimabile. Che fine hanno fatto quei tesori? Nella generale ruberia si distinsero signori e popolani. I primi, potendo assoldare squadre di sterratori, razziarono più di tutti ; il resto se lo spartirono disgraziati e avventurieri piovuti anche dai paesi vicini. Furono quelli giorni di scavi forsennati e approssimativi, sì che piange il cuore al pensiero di migliaia di vasi, olle e crateri andati in frantumi in mani inesperte. Si scavava bellamente alla luce del giorno, violando senza pudore proprietà private. Si andava al lavoro all’alba e ci si ritirava al tramonto come cafoni ingaggiati a giornata, ma questa volta non per un pezzo di pane. E chi non voleva scavare trovava lo stesso il suo utile rifornendo quei ‘lavoratori’ di generi di conforto : “Non più in città si veniva a provvedersi di cibo perocché i venditori di pane, vino e camangiari (sic), albergati sotto piccole tende, fornivano il necessario nelle campagne medesime”. E’ la testimonianza di Giovanni Jatta Junior, uno dei tanti signori che presero parte al ‘sacco’. La partecipazione delle classi alte a quella caccia al tesoro determinò una competizione tra famiglie nobili a chi allestiva il più ricco museo privato. Questi tesori però, una volta pervenuti nelle mani degli eredi, andarono smembrati e dispersi attraverso vendite a mercanti anche stranieri, francesi in particolare. Solo gli Jatta ebbero il buon senso di mantenere integro quel patrimonio che ancora oggi sfolgora nel palazzo-museo di famiglia. Un museo tutto sommato piccolo, componendosi di appena quattro sale, che erano cinque sino al 1915, anno in cui qualcuno alleggerì quella sala di una collezione di monete unica al mondo. Nel quale gesto è ravvisabile l’ultimo eco di una maledizione che ha aleggiato sulla sepolta ricchezza di Ruvo per quasi un secolo. Sottoposto a una ‘diaspora’, quasi un popolo inviso a qualche Dio, il tesoro di Ruvo è ora sparpagliato nel mondo. Ricompattarlo è un sogno. E’ tuttavia possibile avvicinarne le due più fiorenti ‘colonie’, quella italiana e quella francese. Nasce da queste premesse il progetto Francia-Italia ‘Rubi Antiqua’, finanziato dalla Regione Puglia e dai comuni di Parigi e Ruvo e coordinato dall’archeologa barese Daniela Ventrelli. Presentato qualche giorno fa a Ruvo, il progetto si propone di redigere un inventario dei reperti ruvesi sparpagliati nei musei francesi e ricongiungerli virtualmente. Stante la non recuperabilità di alcune schegge, il risultato finale assomiglierà ad uno di quei reperti che pur sberciati e vistosamente raccomodati scintillano ugualmente in vetrina.
Italo Interesse
Pubblicato il 25 Settembre 2014