Il Vate… e il caciocavallo
E’ noto essere il caciocavallo un formaggio stagionato a pasta filata, di forma tondeggiante, a ‘sacchetto’, prodotto con latte particolarmente grasso di vacche podoliche (allevate allo stato brado) con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale. Tipico del Mezzogiorno, il caciocavallo ha ispirato anche modi di dire popolari, come “far la fine del caciocavallo”, in riferimento alla sua forma strozzata da una corda nella parte alta. Quanto al suo nome, esso sembra derivare dall’uso di appendere le forme fresche, legate a coppie, a cavallo di una trave per farle essiccare. Potrebbe però anche derivare dal fatto che, durante il periodo della transumanza, i pastori usavano cagliare sul posto il latte munto e di appendere le forme di formaggio a coppie, a dorso dei cavalli per tenerle in esposizione allo scopo di venderle o di barattarle nell’attraversare i paesi. In uno scritto napoletano dell’Ottocento si legge pure che nei mercati cavalli e asini erano ornati di forme di caciocavallo accoppiate… Se ci soffermiamo sul caciocavallo e sull’origine del suo nome è per una bizzarra coincidenza. Ricorre oggi l’anniversario di morte di Gabriele D’Annunzio, che si spense nel 1938 nel suo Vittoriale a Gardone Riviera. Che c’entra il Vate col caciocavallo? Esiste un interessante saggio di Giuseppe Petraglione, ‘Gabriele D’annunzio e la Puglia’, nel quale si enumerano tutti i pugliesi che il Vate incontrò nel corso della sua vita. Molti di essi (Ricciotto Canudo, Van Westerhout…) hanno un volto. Altri no. Sono questi i suoi tanti compagni di studio, d’arme, di gioco e di collegio. A quest’ultimo proposito, D’annunzio frequentò il Liceo Convitto Cicognini di Prato, dove conobbe numerosi studenti provenienti dalle Puglie con i quali stabilì rapporti di grande cameratismo. In quel clima era facile scambiarsi scherzi, confidenze… e cibarie, non essendovi studente che non ricevesse da casa pacchi colmi di leccornie ‘regionali’. Quando assaggiò il caciocavallo pugliese, D’Annunzio restò esterefatto. Curioso, volle conoscere l’origine del nome. Nessuno seppe soddisfare la sua curiosità. Il futuro Vate mostrò subito il suo carattere ribattezzando quelle delizie. Mai più volgari ‘caciocavalli’, bensì più nobili “caci pugliesi gonfi come uveri di vacche”, dove ‘uveri’ o ‘uberi’ sta per mammelle.
Italo Interesse
Pubblicato il 1 Marzo 2016