Cultura e Spettacoli

Il Villaggio Trieste racconta il dramma delle foibe e l’esodo Giuliano Dalmata

Sono trascorsi 13 anni dall’entrata in vigore della legge del 30 marzo 2004 con la quale veniva istituita la “Giornata del Ricordo” in memoria delle vittime delle Foibe, dell’esodo Giuliano-Dalmata e delle vicende del confine orientale con la concessione di un riconoscimento istituzionale ai congiunti degli infoibati. Bari, nel 1954, fu tra le prime città ad accogliere gli esuli ai quali, nel 1956,  concesse delle piccole case costituenti il ‘Villaggio Trieste’, denominato così in ricordo della loro terra d’origine. Ogni anno, in occasione del 10 febbraio, gli abitanti del Villaggio Trieste organizzano una serie di eventi commemorativi affinché il tempo non cancelli la memoria di un dramma per troppo tempo taciuto sui libri di storia di molte generazioni di studenti. Oggi pomeriggio, alle ore 18.00, presso la Chiesa di S. Enrico ci sarà la consuetudinaria messa per i Caduti, mentre domenica 12 febbraio alle 18.00, presso la stessa Canonica, ci sarà la proiezione del documentario prodotto dall’Associazione Nazionale Venezia-Giulia-Dalmazia: “Esodo, la memoria negata”. A seguire ci sarà una fiaccolata itinerante per le vie del Villaggio Trieste in ricordo degli italiani infoibati dalle truppe jugoslave. Attraverso le testimonianze dirette dei sopravvissuti scampati al genocidio si cercherà di spiegare, a vecchie e nuove generazioni, perché alla tragedia si è accompagnata una conclusione amara: gli esiti della guerra e tutto ciò che ne aveva comportato, infatti, portarono i pochi sopravvissuti alle violenze a intraprendere la via del non ritorno. Ecco perché queste persone saranno per sempre esuli e non profughi: nel momento della partenza sapevano già di non poter mai più tornare. Poi gli espropri, i tribunali speciali, i campi di concentramento e i luoghi di detenzione jugoslavi, le Foibe. Uomini, donne e bambini di ogni età ed estrazione sociale colpevoli solo di essere italiani (quindi per il Maresciallo Tito indistintamente fascisti) torturati, percossi, violentati e infine legati gli uni agli altri con il filo di ferro ai polsi, in modo che, sparato al primo malcapitato, gli altri venissero trascinati giù nell’abisso oscuro delle cavità carsiche. L’ordine di Tito era chiaro: <>. Ventimila circa le vittime accertate di questa pulizia etnica  a danno degli italiani delle terre di confine a nord-est. Un numero ancora inesatto ed in continuo aggiornamento date le innumerevoli foibe inesplorate e inaccessibili presenti nei territori vicini a quella che una volta era la vasta Venezia-Giulia, oggi territorio jugoslavo. A questo dramma, dal 1945 al 1956, seguì l’esodo forzato dei connazionali che decisero di non convertirsi alla nazionalità slava come imposto dalle leggi del neo costituito Stato jugoslavo. 350 mila persone riversate nei fatiscenti centri di raccolta profughi messi a disposizione in diverse regioni italiane. Anche la Puglia fu protagonista dell’accoglienza di questi cittadini che si raccolsero nei centri  allestiti tra Altamura e Bari. Poi finalmente l’epilogo: dopo anni di sacrifici e vessazioni, di vita vissuta tra campi profughi e dormitori di fortuna su e giù per il Paese alcune  famiglie tornarono a vivere in case vere e proprie. <>. Poi  finalmente nell’estate del 1956, dopo tre anni di cantierizzazione, vennero consegnate agli esuli da parte del Prefetto – Mario Carta – le nuove abitazioni costruite nella zona a nord di Bari, tra lo Stadio della Vittoria e la Fiera del Levante: 26 palazzine per un totale di 316 mini-appartamenti che rappresentavano l’inizio di una nuova esistenza per coloro che avevano perso tutto a causa degli accordi scellerati tra gli Stati per la risoluzione della guerra.  All’interno del Villaggio, quindi, convivono da sempre pacificamente tutti i membri di questa comunità composita per etnia e provenienza che vive ancora oggi tra usanze orientali, accenti tripolitani, piatti greci e radici italiane. Purtroppo però  il percorso di riconciliazione tra il popolo italiano e quello serbo-croato è ancora lungo e da oltre cinquant’anni molte sono le questioni irrisolte. Prima fra tutte: la restituzione dei beni confiscati (o un risarcimento idoneo) ai cittadini italiani al momento dell’esodo, una maggiore tutela delle minoranze italiane rimaste nell’ex Jugoslavia e l’abolizione delle tante restrizioni ancora oggi in vigore, sia in Slovenia che in Croazia, nei confronti dei cittadini italiani e delle nostre iniziative economiche e culturali. Inoltre uno Stato che dir si voglia ‘civile’ dovrebbe garantire alle famiglie dei dispersi il sacrosanto diritto di conoscere quale sia stata la sorte dei propri cari e il luogo in cui giacciono le spoglie. Ci sono voluti sei decenni affinché lo Stato italiano e la Magistratura portassero alla luce la verità riconoscendo una giornata nazionale in memoria dei nostri connazionali trucidati da Tito, mentre il percorso istituzionale che porta ad una memoria condivisa è, ancora oggi, ostacolato da ideologie e revisionismo come se fosse lecito  catalogare i genocidi di serie A e di serie B.

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 10 Febbraio 2017

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