Cultura e Spettacoli

Il volo del gabbiano non è vano

‘Il gabbiano’ è espressione teatrale di tradizione. Come tale pretende un palcoscenico degno di questo nome e dodici attori da impegnare sull’arco di quattro atti. Oggi a Cechov darebbero del matto. La tensione dello spettatore medio non supera i novanta minuti ; né gli intervalli gli giovano. E in tempi d’interminabile quaresima è il caso di contentarsi di un pugno di interpreti disposti ad andare in scena in rimesse, opifici, depositi, cantine ed altri contenitori voltati – con molta buona volontà –  in teatri. Nessuna meraviglia perciò se compagnie determinate a mettere in scena quest’opera ma a digiuno di contributi pubblici devono arrangiarsi con formule spettacolari alternative. Sabato scorso, per esempio, nel piccolo spazio sotterraneo messo generosamente a disposizione dall’associazione Federico II Eventi, ‘Il Castello di Atlante’ ha messo in scena “Il sogno bianco”, una performance di una cinquantina di minuti tratta da Il Gabbiano e ristretta a tre soli attori. Nelle azioni limitate a Konstantin, Arkadina e Nina si asciuga il senso del dramma, che è tutto nel contrasto tra sogno e realtà, tra le spropositate aspirazioni dei mediocri e l’esiguità delle risorse spirituali degli stessi ; e le apparentemente vane evoluzioni dei gabbiani simboleggerebbero appunto tale impotenza. La regia di Katia Nacci e Diana Pomo – alla stregua di un gabbiano che sorvoli il mare  dall’alto frugando fra l’onde avido di preda – sonda il grande testo in cerca degli spunti giusti. Rapide picchiate consentono di pescare schegge che, una volta portate al nido (chissà i gabbiani dove lo fanno…), vengono con personalità assemblate e avvolte di colore. Perciò in scena i bravi Francesco Cucci, Barbara De Palma e Mariangela Dragone possono concedersi di cantare cose estranee a Cechov (‘La belle dame sans regrets’, ‘Gari Gari’, ‘Yddische mame’…) intanto che il tutto si dipana in mezzo ad una ‘danza delle sedie’ che scansa la stasi all’azione. Nella luce opaca, a tratti sconfinante nella penombra, prende così vita un sogno ‘bianco’ che omaggia un gigante della drammaturgia e ne conferma la strisciante modernità (con lo stesso strisciante sarcasmo con cui Cechov fustigava l’inconcludenza della media borghesia del suo tempo, si potrebbero oggi mettere alla berlina i modelli comportamentali di una società omologata da fiction, spot e salotti televisivi). Nell’insieme, un allestimento gradevole, impreziosito da musiche per chitarra eseguite a vista da Massimo Abrescia. Consensi da parte della folta platea. A raccogliere applausi anche Francesco Iuvara e Francesco Troso (luci / audio) e Miriam Chiusolo (organizzazione). 
 
italointeresse@alice.it
 
 
 
 


Pubblicato il 3 Maggio 2011

Articoli Correlati

Back to top button