In angustum non contemnenda coacta (15)
Ho in Mente alcune notizie apprese dai telegiornali, da alcuni giornali, da “facebook”. Ecco la prima che, perentoriamente, M’incalza ché la dischiuda a Modo mio, pur se di pubblico dominio, essendo, già, stata dipanata dalla totalità dei “media”. Ebbene, celentano ha voluto informare il mondo che è molto preoccupato in quanto, da un po’ di tempo, alcuni individui riescono a introdursi nel parco, ov’è situata la villa in cui risiede con la sua famiglia, nonostante il parco e la villa siano dotati di sofisticati sistemi di sicurezza. Celentano nella sua denuncia esprime non peregrini timori che gli individui, di cui sopra, stiano studiando, con i ripetuti “blitz” nella sua proprietà, il modo più adeguato per compiere “con successo” qualche gesto criminoso nei riguardi suoi e dei suoi cari. In questo mio Scritto non voglio occuparMI delle preoccupazioni, che angustiano celentano e la moglie, che sono le medesime di milioni di italiani. Oggi, un telegiornale comunicava che sono due milioni i furti (quelli, ovviamente, denunciati, ché molti derubati non denunciano di esserne stati vittime, informati della scarsissima attenzione che le forze dell’ordine portano alle loro segnalazioni) negli appartamenti, di cui le forze di polizia non sono riusciti a rintracciare i colpevoli, sì che un individuo della “stazza etica” del “dj” francesco ha dichiarato di essere in grado di fornirsi di un arsenale per punire ”motu proprio” i malintenzionati che dovesse sorprendere in casa sua. La medesima reazione da claudia mori, consorte di celentano, che ha dichiarato di essere pronta a puntare le armi nei confronti di chi tentasse d’intrufolarsi nella sua magione con intenti delinquenziali. Vero è che nell’italietta mancano le risorse economiche per combattere la micro e la macro criminalità, ma manca, “etiam”, la volontà politica ché la tracimazione di esse dà la stura al potere di sottrarre ai cittadini, un po’ per volta, ampi spazi di Libertà. Pertanto, la massa degli italiettini senza serenità “domi” e “per viam” (in casa e per strada): rapine, truffe nelle loro case, borseggi, scippi per strada, non di rado, con lesioni, ferite e morte delle vittime di essi. Si ha l’impressione che le forze dell’ordine, e sono tante e numerose, si sentano impotenti o mostrino impotenza di fronte al dilagare della criminalità specializzata nei reati, di cui sopra, e, perché prese da siffatto sentimento, non fanno buon viso a coloro che si recano nelle caserme per rivelare il “vulnus” subìto. Preferiscono i servitori dello stato dedicarsi a fatti criminosi eclatanti e codesti tentare, ma proprio tentare, di risolvere, ché per codesti si viene elevati all’onore della cronaca. Non fa cronaca, di contro, tentare di ammanettare lo scippatore, che ha sottratto alla vecchina la pensione con la quale sopraviverà per lunga pezza.”Sic stantibus rebus”, data l’inerzia o l’incapacità o la cattiva volontà delle forze dell’ordine di assicurare al popolo italiettino una quotidianità serena, la vecchina, derubata della sua misera pensione, andrà a desinare alla “caritas”, mentre gli abbientissimi, tal celentano, tal la mori, tal “dj” Francesco, si recheranno dall’armiere e sul cancello delle loro eleganti ville appenderanno il fatidico cartello con le icone del cagnaccio e del padrone armato. Così, chi vorrà capire, capirà! “Tamen”, non della delinquenza, assillo dell’italiettino medio, ho urgenza di parlare,”sed” della vita da nababbi che conducono celentano e compagni, sfruttando la loro ugoletta, qualche strimpellatura sulla chitarra, qualche “giro di do”, con cui si producono le canzonette di grande e di mediocre successo. Celentano, il ragazzo della “via gluk”, nato, cresciuto in caseggiati – alveari, ove i cessi, sistemati sui pianerottoli di essi, erano, collegialmente, usati dai componenti numerosi di più famiglie, ora si prende il lusso di proclamare “coram populo” di vivere in una villa dotata di ampio parco ? Leggo da qualche parte stamane che il fu lucio dalla, oltre, per quanto ne so, all’ampio appartamento nel centro di bologna, provvisto di rarissima, preziosissima suppellettile; oltre alla villa, che pochi al mondo avrebbero potuto, possono permettersi, su un’isoletta dell’acircipelago delle “tremiti”, possedeva uno “yacht”, che è stato messo all’asta. Per non parlare della tenuta di al bano in cellino san.marco e di tantissimi altri cantantucoli di musica (??????) leggerucola: “pop”, “rock”, “rapper”, ai quali è arrisa, arride immeritata, venalissima, strapagata, strapagante notorietà, grazie al ben orchestrato “markenting” delle case discografiche attraverso la filiera dei “media”, efficaci nel persuadere le masse incolte ad acquistare i prodotti pseudomusicali di modesti menestrelli, di cui, per induzione, si fanno isteriche “fan”. Vita da nababbi, Dicevo poco sopra, ma nababbi non arrivati ad essere tali dopo un’Adolescenza, una Gioventù, una Maturità adulta Trascorsa nei Conservatori, nelle Scuole di Specializzazione, anche all’estero, sotto la Guida di Grandi Maestri e, pur, Diventati, anch’Essi, Grandi Maestri Continuano a Studiare, a PerfezionarSi, EsercitandoSi, quotidianamente, per ore e ore, in quanto Desiderano dare al loro pubblico il Meglio delle loro Possibilità e della loro Arte. Si “vanagloriano” di essere musicisti i cantantucoli, gli strimpellatori di musichetta leggerucola e molti di loro non sanno leggere uno spartito di musica; suonano e cantano ad orecchio. Coloro che Coltivano la Musica Lirico – Sinfonica non guadagnano un centesimo, se non dopo che: per lo Studio, per gli anni che trascorrono in immani sacrifici, con stoicismo sopportati, il loro Volto non sia stato Segnato dalle rughe della Saggezza; se non dopo che i loro capelli non annuncino l’ albica aurora della Bellezza, che hanno il Dovere di Partecipare al Mondo, mentre gli analfabeti giullari della plebaglia si fanno ricchi da giovanissimi (ad esempio, rita pavone) ché non hanno bisogno di studiare alcunché, di apprendere alcunché (gli stadi strapieni di giovanissimi, simili a loro “minus habentes”, mentre i Teatri fanno fatica a strappare dai miserabili programmi televisivi qualche Amante della buona Prosa e della buona Musica), sì che arrivano alle soglie della vecchiaia e possono vantare immeritata gloria, ingiustificati averi. Tra l’altro i celentano, i morandi e sodali, vantando, a destra e a manca, il loro fortunato percorso di musicanti, lastricato di cose, di molti denari, si fanno modelli negativi, diseducativi alle nuove generazioni. Se si chiede ai ragazzi di oggi cosa vorrebbero fare o cosa aspirerebbero fare “da grandi”, la risposta è univoca: i cantanti, apparire in televisione, i calciatori, cioè, fare i ricchi bellimbusti, pur senza o poco talento, senza eccessivo studio, senza privazioni, disagi. Giovanni Verga, messo a parte di siffatte omologate aspirazioni delle nuove leve di una società bacata, culturalmente, in declino, le avrebbe messe in guardia dalla “selezione”, tragicamente, operante oltre che in Natura, anche nelle società, irrazionalmente, organizzate. Infatti, Verga, Esemplando i suoi Ammonimenti ai giovani di oggi sugli sfortunati accadimenti occorsi ai nepoti di “patron ‘Ntoni’, il protagonista de ”I malavoglia”, avrebbe loro ricordato che tra le migliaia, migliaia, migliaia di aspiranti calciatori, cantanti, pagliacci televisivi, nudi di arte e di parte, coloro che riescono ad essere baciati dalla fortuna, a dare compimento, realizzazione ai loro “perversi desiderata”, si possono contare sulle dita di una mano; gli altri, depressi dall’insuccesso, potrebbero fare la fine di “bastianazzo “, perito nel naufragio della “provvidenza” con il carico di lupini, da cui sperava un ottimo guadagno; di“’Ntoni, in galera, incorso nel reato di contrabbando; di una sorella dei due, intorcinata nella prostituzione in catania. Tutti e tre lontani da acitrezza, cioè dallo scoglio, sul quale, prudentemente, dovevano rimanere attaccati, come l’ostrica; lontani, in definitiva, da quelle sensate, ponderate aspirazioni che sono: Imparare un buon Mestiere e, poi, Praticare un Lavoro onesto o Studiare, Studiare, Studiare, specie da parte dei rampolli delle classi che non hanno voce, per Portare nella nenniana “stanza dei bottoni” la Logica della Giustizia, quale Misura assoluta dell’Agire Politico.
L’art. 27 della Costituzione Italiana Recita: ”La responsabilità penale è personale. – L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. In ogni caso, è un dato di fatto, è machiavelliano Realismo Affermare che non sempre La verità processuale sia stata, pienamente, coincidente con la Verità effettuale. La cronaca giudiziaria di tutti i paesi del mondo ha “mugolato” per criminali, malfattori mandati assolti e innocenti condannati a pene gravissime, sino alla morte, da tribunali. E’ un’aporia, una petizione di principio: la ”giustizia uguale per tutti”, il “dovere della fiducia, a prescindere, a priori, nella giustizia”. Sarà il mio Realismo congiunto, venato a/da una forte vena di Pessimismo antropologico, ma Ribadire, come un “mantra”, che le sentenze dei tribunali non vanno criticate, semmai, rispettate, è come Ribadire, col, politicamente, corretto, totalizzante, ormai, l’umana esistenza, che l’uomo non va criticato, che va, sempre, rispettato quali che siano i suoi pensieri, le sue parole, le sue azioni, le sue omissioni. Invece, l’Uomo è Fallibile, la Fallibilità è la sua Grandezza; è Limitato, la sua Limitatezza è la sua Nobiltà e il suo Esercitare, Praticare la Giustizia non può essere considerato astratto, decontestualizzato dalla sua Fallibilità, dalla sua Limitatezza. I fatti, di cui si occupa la giustizia, non sono degli assoluti; non sono leibniziane monadi, senza porte, senza finestre sul mondo; hanno la loro valorialità, il loro spessore, la loro importanza a seconda degli sguardi che gravitano su di loro; a seconda della storia, degli interessi personali, dello stato fisico, psichico, delle posizioni ideologiche, politiche di chi li interpreta. Siffatti ”a seconda” non sono verificabili, quantificabili; appartengono al kantiano “foro interiore” dei componenti una corte, una giuria civile, penale di un tribunale e se, pur, condizionano in massima parte una sentenza, da esse promulgata, essa può essere appellata solo se è, formalmente, viziata, ma è insindacabile dal punto di vista della sua, Dico IO, presunta obbiettività nel condannare o assolvere tizio o caio. Pertanto, mentre Machiavelli Predicava l’Autonomia e, quindi, la scissione della Politica, che non poteva, non doveva non fare i conti con l’ ”essere” (le cose come stanno o stettero, effettivamente,) dalla morale, dal “dover essere” (le cose come devono o dovevano conformarsi ai valori morali), IO Elevo a Principio l’Autonomia, la Scissione della Politica, per ME, “dover essere”, dall’ ”essere”, come può, deve vederlo la Legge, dall’ ”essere” di ciascuno di noi, se i comportamenti di ciascuno di noi vengono valutati, interpretati in un’aula di tribunale da un nostro simile, fallibile, limitato, come noi. Non dimentichiamo che il termine “candidato” deriva dal Latino “candidatus”, vale a dire colui che indossava una “toga candida”. Nella roma antica, infatti, coloro che si presentavano alle elezioni dovevano indossare una ”toga bianca” per distinguersi. Inoltre, il termine “candidato” deriva da “candido”, puro. Si presumeva, infatti, che il “candidato” fosse puro, cioè, al di sopra di ogni sospetto. Pertanto, Chi Fa Politica, non può, non deve avere le guarentigie della/dalla legge, che non si accontenta di sospetti, ma vuole, esige prove, anche se, spesso, i sospetti danno l’avvio alle ricerca di prove. La Politica Si Confonde con l’Utopia, con Ciò che non c’E’, ma che Deve Esserci, che Si Deve Realizzare nei Rapporti, nelle Relazioni tra gli Uomini e Méntori, Guide, Mallevadori di nuove Albe Etiche tra essi, non Possono, non Potranno non Essere Uomini al di sopra dei loro simili, uomini, nemmeno, addirittura, sospettati di essere come i loro simili. L’italietta è la nazione che ha permesso a un uomo, sospettato di essere un mafioso, un colluso con la mafia, riconosciuto, in seguito, mafioso, mandante di un omicidio da vari tribunali (condanne, poi, dissolte dalla corte di cassazione), di occupare lo scranno di presidente del consiglio dei ministri per ben 7 volte e d’indossare il laticlavio di senatore a vita. L’italietta ha avuto ministri, menzionati, come possibili mafiosi da commissioni antimafia, a loro volta genitori di ministri o di onoratissime personalità istituzionali. L’italietta ha avuto un presidente della repubblica capo o affiliato molto apprezzato di/da una organizzazione segreta, denominata “gladio”, non rare volte, nominata nelle sentenze tribunalizie, che sono state scritte negli anni di dilagante terrorismo. Eppure, costoro che per mezzo secolo e oltre hanno, malamente, deciso il nostro destino, sono morti nel loro letto, ché le sentenze assolutorie definitive, misteriosamente, mettiamola così, hanno ripulito le loro fedine penali. Non, però, ripulite dall’Etica, dal “Dover Essere” della Politica, che essi, giammai, Contemplarono, indelebilmente, marchiate per la Storia. Qualsiasi riferimento a politicanti di dozzina e a fatti pseudopolitici, di cui in questi giorni si parla, non è casuale, anche, perché non va taciuta la paradossalità delle pretese di chi tenta, disperatamente, di ritornare nel “palazzo”, nonostante i sospetti che si addensano: sui provvedimenti del suo governo (i “bonus” ricorrenti, che hanno dilapidato miliardi, per fini elettoralistici, sì da configurare conflitti di interessi), sui suoi sodali del giglio magico, sui suoi parenti, appellandosi all’Art. 27 della Costituzione, cioè, alla nostra MAGNA CHARTA, che egli tentò di far stracciare da un popolo che non gli obbedì, Ritrovando, il 4 dicembre del 2016, finalmente, la sua resipiscente Dignità di Comunità, sovranamente, Pensante per/del il suo Avvenire.
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
Pubblicato il 8 Marzo 2017