Cultura e Spettacoli

In foto i “maledetti della storia”

L’avvento della fotografia dovrebbe aver reso un servigio assai prezioso alla Storia. Il condizionale si spiega con l’abuso che del mezzo fotografico si è fatto alterando  immagini o ‘costruendone’ altre. Ad esempio, esiste una foto scattata nel 1930 che ritrae Stalin in compagnia di Voroshilov e Yezhov. Poiché quest’ultimo, caduto in disgrazia, venne giustiziato nel 1940, quella foto venne ‘ritirata’ e sostituita da altra ‘censurata’ dove la figura di Yezhove non compariva per effetto di un abile lavoro di ritocco. E la celebre  foto dove aitanti marines piantano la bandiera a stelle e strisce sul suolo dell’appena conquistata Iwo Jima? Uno scatto provato decine di volte su un set da campo con soldati-attori chiamati a ripetere la stessa scena fino a indovinare il più credibile mix di plasticità e marzialità. E poi ci sono gli scatti di propaganda. Quella delle immagini ruffiane volte a suscitare pietà, ribrezzo o altri sentimenti risale già agli albori della fotografia. Ne sa qualcosa la sfortunata guerra di liberazione condotta dai patrioti del nostro Mezzogiorno contro l’esercito della neonata Italia. Maurizio Restivo parla a tale proposito di “miserabile accordo” tra il generale Pallavicini e “fotografi interessati”. Avvenne così, spiega Gaetano Marabello in ‘Briganti e pellirosse’ (Capone, 2011) che i Piemontesi si attorniassero di uno stuolo di fotografi i quali “fruendo di ogni possibile agevolazione logistica” erano sempre pronti a intervenire su qualunque teatro di scontro. Le foto, che avessero per oggetto soldati liberatori catturati o uccisi, avevano un palese valore didascalico, ovvero mettere in risalto da che parte stava il “progresso” e da quale altra l’abiezione, la brutalità ‘cromosomica’. Un vero e proprio ‘genere’ s’impose allo scopo di “tramandare ai posteri in effigie le orribili creature” (Salvatore Di Giacomo, ‘Per una storia del brigantaggio napoletano’, Osanna, 1990). Poiché sul retro di alcune immagini erano riportate le generalità di chi le aveva scattate, è possibile risalire a uomini che si chiamavano Emanuele Russi, Raffaele del Pozzo, Achille Quinet, Ferdinando Carparelli, Giuseppe Chiariotti, Carlo Fasolato. Si deve a questi galantuomini “un vero campionario di orrori in tutto degno di una rappresentazione del Grand Guignol”, scrive Marabello. In parecchi casi, infatti, si arrivò a messinscene ignobili, come fotografare in posizione eretta ‘briganti’ giustiziati a fianco dei quali gongolavano carnefici in posa. Il tutto a beneficio di un pubblico morboso, avido di cartoncini e album dedicati a questi trofei di caccia, questi “maledetti della storia” nel cui desolante spettacolo un’Italietta dalla coscienza lercia cercava alibi preziosi.

Italo Interesse


Pubblicato il 2 Febbraio 2013

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