In quattro sul ciglio
Che ci fa una famiglia sul terrazzo di un condominio a qualche ora dalla mezzanotte della Vigilia di Natale? Ti aspetti che sia là, agghindata a festa, per godere dello spettacolo dei botti. Invece no, è lì per farla finita. Vogliono precipitarsi a turno, prima la mamma, poi i figli, infine il padre ; una cosa pianificata che prevede panini (al prosciutto o al tonno) per “ingannare l’attesa” e vino per trovare coraggio. Un volo di venti metri e stop alla mortificazione di un arrancare quotidiano tra miserie domestiche. Ma muovere il gran passo non è facile. L’incapacità della madre innesca un meccanismo implosivo che rimette in discussione la famiglia. Nel rimpallo di accuse reciproche emerge una verità inattesa e che sta a monte del magone collettivo : Tutta colpa di Pietro, il figlio disabile, l’unico escluso dalla strage e lasciato a dormire in casa. Forse senza Pietro quella famiglia sarebbe stata normale, invece di immolarsi in un delirio buonista. Forse, allora, la soluzione più pratica è far fare il salto a Pietro… Sull’indecisione del padre, sobillato da moglie e figli finalmente concordi, cala il sipario. “Via del Purgatorio” è testo coraggioso ai limiti del temerario. Michele Bia, l’autore, scava nell’ipocrisia dell’uomo della strada sino ai limiti dell’impopolarità. L’opera, che ci pare destinata a sollevare gli alti lai dei benpensanti, merita rispetto e attenzione anche per la cura della messinscena, tutta giocata su disegno luci, interpretazioni graffianti e modestissimi tuttavia efficaci accorgimenti scenici (una scaletta che si leva a margine di un vasto praticabile che a qualche metro dalla platea s’inclina verso la stessa suggerendo l’idea – in verità vertiginosa – della minaccia di un abisso prossimo). Sottilmente cinematografica la cifra dell’operazione (nel 2007 l’Autore si aggiudicò il Lago Film Fest col cortometraggio ‘Meridionali senza filtro’). “Via del Purgatorio” ha infatti cadenze thriller. Dietro il dialogare serrato e tragicomico, acido e tagliente, nel rivoltarsi delle coscienze tra lo schizzare di scheletri dagli armadi, in tanto blasfemo e livido vomitarsi addosso quasi una terapia di gruppo, dietro questo sgretolarsi della maschera da Mulino Bianco che la famiglia si affanna a tenere assieme persino nell’imminenza della fine, si percepisce che il ‘colpevole’ non si nasconde tra i quattro. ‘L’assassino’, qui, non è un padre ipocrita, una madre leziosa, una figlia marcia o un figlio frustrato. Come in ogni giallo che si rispetti egli è da sempre vicinissimo alla sue ‘vittime’…. L’apparizione del povero disabile in carrozzina è colpo di scena che rimbomba. Una volta che l’ultimo tassello abbia trovato il suo posto, il puzzle è completo. Adesso non resta che assumere una posizione a riguardo. O dentro o fuori. Bia non offre scampo, lo spettatore è in trappola : Si schieri, non è più tempo di infingardo neutralismo. Un lavoro indimenticabile. Franco Ferrante e Rossella Giugliano giganteggiano. Volitive e corpose le interpretazioni di Giuseppe Massarelli e Rossana Marangelli (spazio e luci : Vincent Longuemare).
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Dicembre 2011