Cultura e Spettacoli

Intabarrati e caldi

Fra i tanti problemi che l’affliggono, la pastorizia soffre anche di un problema di ricambio generazionale. Sempre meno giovani vogliono dedicarsi a questa attività. Al momento il vuoto è colmato da extracomunitari, magrebini in prevalenza. Ma non basta. Le esigenze del mondo globalizzato richiedono una figura professionale diversa da quella che in passato si formava sul campo. A tale scopo, per effetto di un accordo fra Enti, a gennaio 2022 prenderanno il via (nel solo Piemonte, per ora) i corsi della SNAP, acronimo che sta per Scuola Nazionale di Pastorizia. Un nuovo modello di pastore si va profilando. Certamente è finita l’era del pastore analfabeta, avulso dal mondo, chiuso in se stesso e brusco nei modi. Un altro elemento dello stereotipo pastorale cui dovremo dire addio riguarda il suo guardaroba. Oggi, sulle Murge, in inverno, i pastori che con le loro greggi sfidano la sferza gelida della tramontana vestono efficienti giacche a vento. In passato non se ne sarebbe visto uno che non fosse avvolto nel tabarro ‘d’ordinanza’. Il tabarro, già, ce lo siamo dimenticato quest’altro indumento caratteristico. Mantello lungo sino al polpaccio, realizzato in panno grosso e pesante, di colore scuro, generalmente nero, lungo fino al polpaccio, il tabarro aveva una foggia particolare : era tagliato a ruota, cioè a spicchi di stoffa cuciti in modo da realizzare un solo cerchio di tessuto. Il taglio consentiva al mantello di avvolgere il corpo in un cilindro che scendeva a cappa, tant’è che il tabarro veniva chiamato anche ‘cappa’. Poiché presentava un solo punto di allacciatura sotto il mento, il tabarro veniva chiuso buttandone un’estremità sulla spalla opposta. Poco costoso, pratico, resistente e caldissimo, il tabarro consentiva di dormire all’addiaccio e di passare indenni attraverso le selve più intricate. Per tali caratteristiche esso fu eletto a divisa (insieme alla coppola e alla coccarda rossa) dagli Insorti che nel nostro Mezzogiorno e nel periodo immediatamente post-unitario presero le armi contro il neonato Regno d’Italia. Il tabarro è sopravvissuto fino alla metà del secolo scorso, trovando impiego in ambito rurale e montanaro. Questo mantello ha lasciato un segno così profondo nella nostra cultura da spingere persino un Puccini ad occuparsene. ‘Il Tabarro’, atto unico su libretto di Giuseppe Adami, andò in scena per la prima volta 14 dicembre 1918 al Metropolitan diNew York.  E’ la storia del maturo Michele, proprietario di un barcone da carico ancorato lungo La Senna e che per tutto il corso dell’opera appare avvolto in un tabarro. Tormentato dalla gelosia, una notte l’uomo uccide Luigi, l’amante della moglie. Allora si sveste del mantello e con esso avvolge il cadavere. Quando la donna, destata da uno strano presentimento, sale in coperta e si avvicina a Michele, questi solleva il tabarro e svela il cadavere di Luigi.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 3 Settembre 2021

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