Cultura e Spettacoli

Inutile e inascoltato il grande Giacomo

Ero Intento nella ulteriore Rilettura de “La ginestra” di Giacomo Leopardi, ad Essa Spinto, Portato, Sollecitato dall’apocalittico terremoto del 24 agosto 2016, alle ore 3,36, che ha mandato, letteralmente, in frantumi rilevanti parti, zone di tre regioni dell’italietta: l’umbria, il lazio, le marche, quando MI giunse una “mail” da un caro Amico nella quale, oltre all’espressione del consueto cordoglio per le vittime e per la, quasi, distruzione di molti paesi nelle regioni, sopra citate, egli concludeva: ” ‘Il Mondo in M7’ di Celentano è sempre attuale”. Nel leggere siffatta “mail”, provai la medesima sensazione di rabbia e di sofferenza che avrei provato se qualcuno MI avesse gettato, inaspettatamente, improvvisamente, fraudolentemente, una consistente brocca di acqua ghiacciata sulle spalle. Celentano, il pagliaccio più pericoloso, più lercio del genere, assolutamente, non musicale “pop”, “rock”, che ha iniziato, affascinandola con i moti del suo “lato b”, la gioventù italiettina, per la gran parte, non solo culturalmente, “sed etiam” musicalmente, sprovveduta, al “brutto pseudomusicale”, al fanatismo schizoide verso certi personaggi, come vasco rossi, ligabue, giovanotti, pausini, annalisa, e tanti altri ecc.,ecc.,ecc., ecc., che si appellano musicisti, autori di canzoni e, spesso, non conoscono la Scrittura Musicale, non sanno Leggere gli Spartiti Musicali: suonano, emettono grugniti ad orecchio. E codesti mestieranti, grazie ai loro demeriti, si sono arricchiti, approfittando di campagne mediatiche ben orchestrate, si fa per dire, che ha concentrato in stadi, in palazzetti dello sport folle strabocchevoli di “stronzetti”, di “minus habentes”. Tutti i media, radio, televisioni, da mane a sera, non fanno altro che trasmettere gli ululati, le sciocchezze dei testi, da costoro concepiti, diseducando il sentire dei loro sempliciotti clienti, prosciugando Luoghi Temporali e Spaziali alla Musica Classica che, non avendo Cultori, “povera e nuda va” da stagioni annose. Nutrendo un disinteresse sviscerato per celentano e sodali, dovrebbe essere chiaro ai miei 25 Lettori che, non conoscendo la produzione di rumori del “ciao neh !” andriese e tanto meno l’obbrobrio segnalatoMI dal mio Amico, sono stato costretto a “navigare su internet” in cerca del testo di esso che, da attenta disamina, espone alla fine 21 versi in ciascuno dei quali stazionano 5 “na, na, na, na, na”; di 5 versi in ciascuno dei quali “escrementano” tre “ahi, ahi, ahi”; di geremiadi ché “sulla terra /sempre c’è /una guerra /ma però per fortuna /siamo arrivati /sulla luna…; di lacrime di coccodrillo per la fame nel mondo; per qualche “capoccia” capriccioso che potrebbe far saltare il mondo con la bomba atomica; per la generale, insana libidine di sesso. Comunque, l’autore spera che verrà il giorno in cui trionferà “solo l’amore amore /amore/……/solo amore /solo amore /solo amore”. Come dicevo prima, il componimento, si fa per dire, si conclude con i 21 versi di “na, na, na, na, na”. Non posso parlare della sicura accozzaglia di note musicali che codesto testo vestirebbero, ché esse non sono rintracciabili nella “navigazione internettata”. Non ho idea dell’anno, del giorno, dell’ora in cui sarà stata “chignata” (da “gigno”: in Lingua Bitontina: generata, partorita, come atena dalla mente di giove) codesta “palinodia” della Musica e della Poesia, ma non sarei lontano dalla realtà, se prendessi atto che il “molleggiato” con una sconcezza del genere, come mille e mille altre, che avrà messo in commercio, di pane e companatico con la sua famiglia ne mangerà fino alla fine dei suoi giorni e di quello dei suoi famuli, tanti sono gli abbruttiti, lontanati dal “Bello” che la società,  la socialità italiettina infestano. Ciò, lungamente, Premesso, Ritorniamo agli Argomenti Seri, pur se, Seriamente, MI sono sentito offeso dello strano mettere “brechigl” (nella Lingua Bitontina, mettere in mezzo, mettersi in mezzo, intromettersi, come il prezzemolo) da parte del mio Amico, in una comunicazione a ME indirizzata, il “re degli ignoranti”, quale il celentano si autoflagella, giustamente. ”La Ginestra”, dunque, Scritta nel 1836, da Leopardi fu Posta alla fine dei “Canti”, a Conclusione, quasi, e Testamento del suo Viatico Spirituale. Da una villetta di torre del greco, alle falde del vesuvio, egli vede il vulcano che nel 79 d.c. aveva distrutto le floride città di pompei ed ercolano. Sotto il Titolo Giacomo Riporta il versetto del “Vangelo secondo Giovanni”: ”E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”, nel quale, secondo l’Interpretazione del Poeta, la luce  è la Coscienza della condizione umana, delle false sue “magnifiche sorti e progressive”, del “mal che ci fu dato in sorte”, mentre le tenebre sono le credenze di progresso e di provvidenzialità. Leopardi fu acerrimo avversario di ogni “metafisica”, delle fantasticherie religiose in auge, soprattutto, durante la barbarie medioevale, e, nonostante ci fosse stata la Stagione Rinascimentale con le sue Correnti Filosofiche Sensistiche e Razionalistiche; i Progressi Scientifici nel secolo XVII; infine,  l’Illuminismo, il secolo XIX (”Qui mira e qui ti specchia /secol superbo e sciocco,/che il calle insino allora /del risorto pensier segnato innanti /abbandonasti, /e volti addietro i passi, /del ritornar ti vanti, / e procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl’ ingegni tutti, /di cui lor sorte rea padre ti fece, /vanno adulando, ancora, /ch’a ludibrio talora /t’abbian fra sé… “) con le manie spiritualistiche dei cattolici (mamiani, gioberti, rosmini, manzoni) ritornava ad enfatizzare il valore della fede, della religione, operazione pseudoculturale che a Leopardi appariva come un ritorno all’antica barbarie: “del ritornar ti vanti, e procedere il chiami”. Solo il Libero Pensiero, per il Poeta, sarebbe stato in grado di far progredire, umanamente, culturalmente, eticamente, gli uomini che, grazie ad esso, avrebbero eradicato dalla loro “weltanschaung”  superstizioni, illusioni (come la fede nell’immortalità e nella provvidenza); che, grazie ad esso, avrebbero avuto la Rivelazione, la Contezza della loro vera condizione nel mondo, e tra loro stabilire la “social compagnia”, Cementata da una nuova Etica fondata su un’autentica, non  cattolicamente pelosa, Solidarietà. Il sig. giovanni d’ercole, vescovo di ascoli  piceno, IO MI Domando, ché nella sua omelia, durante i funerali di alcune vittime del terremoto, ha citato il modesto destroide giovanni guareschi e non Giacomo Leopardi ? La Spiegazione, profeticamente, fu Inscritta ne “La  ginestra”dallo stesso Cigno di Recanati, profondo Conoscitore dei suoi polli contemporanei e futuri:  ”…/ben ch’io sappia che oblio /preme chi troppo all’età sua increbbe”. Davanti a una turba di boiardi di stato, tra i quali mattarella (capo dello stato), grasso (presidente del senato), la boldrini (presidente della camera dei deputati), renzi e signora (il mai da alcuno eletto capo del governo) ecc., ecc., ecc.,  che indossavano, come tanti altri boiardi prima di loro e, certamente, dopo di loro (ché essendo, altamente, sismica  la dorsale appenninica, da mappe redatte, ovviamente, all’insaputa di coloro, di cui sopra, addirittura, nel ‘700, è sicuro che nelle regioni, situate nel cuore dello stivale, altri devastanti terremoti ci saranno. Lo scandalo consisterà nel fatto che i boiardi di domani, come quelli di ieri e dell’altro ieri, di oggi, dopo le passerelle, le comparsate lacrimanti di circostanza davanti alle bare, ritorneranno nei loro palazzi, soddisfatti della quantità di lacrime venute giù dai loro occhi, che li esimerà dal tenere fede alle promesse fatte a chi, oltre agli Affetti più Cari, avrà perso il frutto di faticosi, pesanti sacrifici)  la maschera degli straziati dal dolore per le vittime dell’immane terremoto e dei, devotamente, comunicanti a dio (“ch’a ludibrio talora /l’abbiano fra sé”, sebbene nel loro intimo lo scherniscano)  il loro indefettibile proposito di “non lasciar sole le popolazioni colpite dal sisma, il d’ercole ha sentenziato; ”Signore…qui noi abbiamo perso tutto, ma tu dove stai ? Sembra che apparentemente non abbiamo ricevuto risposta ma appena si va a guardare si scorge dietro la polvere che nemmeno il terremoto con la sua violenza può togliere tutto tranne una cosa: il coraggio della fede…Senza questa sorgente di fede saremmo in un lastrico di miseria abbandonato da Dio”. Ma codesto, o sig.d’ercole, è un ragionare bambinesco (“pargoleggiar”)! E’ un affidare la Ricostruzione della Vita Sociale e il contesto urbanistico di Essa ad una “fede” in qualcosa di  impalpabile, di inesistente; ad una speranza consigliera dell’inerzia e non del “rimboccarsi le maniche”, al passo, tenendo conto dei progressi tecnologici e nella ricerca dei materiali, che permettano alle popolazioni, colpite dal sisma, e ai loro figli e nipoti, dal futuro non esentati dalle sofferenze, vissute dai loro maggiori, di essere sereni in dimore, quanto più sia,sarà possibile sicure. “Dove stai, Dio”? La risposta, che non viene, che non è, mai, venuta, che, mai, verrà, ci  conferma del perché codesto ente, ognora, invocato, negli eventi, situazioni, appuntamenti importanti, manca, continuamente, e tanto, non per la sua cattiva volontà o per maleducazione. Dio, semplicemente, non esiste! ”Nobil natura è quella /che a sollevar s’ardisce gli occhi mortali incontra /al comune fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte, /e il basso stato e frale; /quella che grande e forte /mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire /fraterne, ancor più gravi /di ogni altro danno, accresce /alle miserie sue, l’uomo incolpando /del suo dolor, ma dà la colpa a quella /che veramente è rea che de’ mortali /madre è di parto e di voler matrigna”. Per questa Nobile Natura la Natura è la sua vera nemica, considerando che gli Uomini sin da “r nannasc”, sin dalla più remota antichità, Immaginarono la Società, Strinsero Rapporti, Patti sociali  per DifenderSi dalla Natura, non per offendersi, vicendevolmente. Questa era l’Utopia, pur, mai, Realizzata. Compito, Dice Leopardi, che non può, non deve essere inevaso dalle nuove generazioni: tutti gli uomini devono abbracciarsi con vero amore, offrendo e attendendo aiuto, valido e pronto, “negli alterni perigli e nelle angosce /della guerra comune” contro la Natura. Ché “un’onda /di mar commosso, un fiato /d’aura maligna, un sotterraneo crollo distrugge sì che avanza /a gran pena(degli uomini, dei popoli) la rimembranza”. E, poi, cos’ è l’uomo nell’Universo ? Nulla, del tutto sconosciuto, e alle stelle delle nebulose lontane, non solo la terra e l’uomo, “sed etiam” tutte le stelle del sistema solare e il Sole medesimo o sono ignoti o appaiono un punto di luce nebulosa, come esse appaiono a noi dal nostro punto di osservazione, dalla terra. Allora, la conclusione ovvia (ma sono proprio le ovvietà che vanno problematizzate, per svestirle del loro essere stimate, abitudinariamente, banalità, che ci impedisce di vedere in esse l’enormità dei drammi che in sordina le investe, le caratterizza) è: dal momento che inermi, siamo soli, nell’’Immensità dell’Universo, che più Lo Conosciamo e più ci nullifica; dal momento che ci sono eventi naturali, quali le eruzioni vulcaniche, i terremoti, i maremoti, le pandemie terribili da “virus”, dalle conoscenze scientifiche umane, ancora, inattaccabili, Tutti Insieme Lavoriamo, Studiamo per Esorcizzare, almeno in parte, la terribilità di ciò che può mettere in discussione la nostra Vita, la Vita, perfino, nel/sul pianeta “Terra”. “Tamen”, è proprio il Concetto di Natura il punto debole di tutto l’Argomentare Leopardiano. Cos’è, dunque, la Natura? Tutto ciò che esiste, che riusciamo a vedere nell’Universo e sulla Terra: le stelle, il sole, l’avvicendarsi del giorno e della notte, delle stagioni, del caldo e del freddo, il mare, i fiumi, l’acqua, i vulcani, le malattie, gli alberi,  tutti gli animali e, tra questi, noi uomini, ecc., ecc., ecc. Mentre, paradossalmente, Leopardi, che era un, mai pentito, antimetafisico, fa della Natura qualcosa che eccede i mezzi fisici dell’uomo, la cui comprensibilità da parte dell’uomo è, razionalmente, difficile, se non impossibile, come una qualsiasi divinità che, spinta da una forza meccanica, non da un “motu proprio”, irresponsabilmente, mandi avanti l’eterno processo della trasformazione della materia, di cui, anche, l’uomo è fatto. Essa “del’uomo ignara e delle etadi /ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno /dopo gli avi e i nipoti,  sta natura ognor verde, anzi procede /per sì lungo cammino  che sembra star”. Essa non S’accorge del suo seguitare nei millenni e nei secoli e di quello degli uomini, eppure l’uomo si vanta di essere al centro di essa. Essa, lentamente, seguita che pare immutabile; pur dopo lungo cammino, sembra in una situazione di stasi. Perché l’uomo s’accorge, malato di egocentrismo e di egoismo, che esiste l’altro uomo? Quando ha potuto, se ha potuto, non s’è scagliato, come un rullo compressore, schiacciando l’altro uomo nei suoi affetti, nei suoi averi ? Perché l’uomo quando decide, quando vive in piena, responsabile Libertà ? Non è, forse, l’uomo oppresso,, specie oggi, con il traboccare della forza invasiva dei “midia” nelle coscienze, da una caterva di condizionamenti pseudointellettuali, pseudoculturali, dal potere gestiti, tanto che gli pare di essere libero ed è, invece, incatenato, come gli schiavi nella caverna platonica, tra l’altro, inviperiti contro uno schiavo che, riuscito a liberarsi delle catene secolari, vorrebbe, a sua volta, loro liberare ?  In Natura non ci sono né ricompense, né punizioni, ci sono conseguenze. Se i fiumi tracimano è perché si costruisce nei suoi alvei, non li si ripuliscono di tutto ciò che la corrente ha trasportato in essi o non si consolidano gli argini. Se le case crollano per un terremoto, anche, di non massima intensità, è perché non si fanno o si fanno male i lavori di ristrutturazione o si è costruito dove non si doveva, grazie a qualche bustarella al burocrate che doveva controllare, “ostare” o “non ostare” la costruzione. In Giappone, dal territorio, eccellentemente, ballerino, i grattacieli si flettono, umilmente, come i giunchi, ai moti del sottosuolo, ma non crollano. Sono stati gli uomini europei, con le loro malattie, a sterminare gran parte delle popolazioni precolombiane, dopo la conquista del continente americano. Gran parte della potenza, gradualmente, distruttrice di ciò che esiste sul Pianeta “Terra” ed, anche, nella stratosfera con i lanci dei satelliti e delle navicelle spaziali, appartiene all’uomo.”Qui su l’arida schiena /del formidabile monte /sterminator Vesevo, /la qual null’altro allegra arbor né fiore, /tuoi cespi solitari intorno spargi, /odorata ginestra, /contenta dei deserti”. Sono questi Versi di una Bellezza straordinaria: la  contrapposizione tra la forza devastatrice dell’imponente vulcano, sempre, incombente sull’uomo, e la forza umile, dolce della ginestra, l’unico fiore che germoglia dove c’è l’arida pietrificazione delle zolle e dei cuori, ché la ginestra è anche il simbolo, la metafora della Poesia, del Poeta che Si Leva al di sopra delle cruente miserie, meschinità dell’uomo, con il suo Messaggio di Ottimismo della Volontà, Antidoto al pessimismo dell’intelligenza storica. Leopardi Si Fa così, Anticipatore del celebre Motto di Antonio Gramsci.  Per Leopardi la Vita non era, non è un dato di fatto, da accettare, senza Indagarla, senza Problematizzarla. Indagine  e Contestuale Problematizzazione, che avrebbero Fornito, Fornirebbero agli uomini gli Strumenti Culturali, Estetici ed Etici, per Celebrare fra essi, finalmente, quella autentica Solidarietà da Fondare, comunque,”sul sentimento austero e doloroso del dramma dell’esistenza”; sulla presa d’atto della frale Solitudine del Pianeta “Terra” e dell’uomo nella incognita, interminata Vastità dell’Universo. E’possibile la Poesia, quando la furia cieca, criminale, folle dell’uomo; quando i sotterranei crolli nel ventre   della “Terra” si abbattono anche, sui bambini ? Quasimodo Auspica il Silenzio della Poesia, quando nelle piazze s’ode “il lamento d’agnello del fanciullo”. Pertanto, “alle fronde dei salici… /anche le nostre cetre erano appese, /oscillavano lievi al triste vento” E Ungaretti  ne “La pietà”, Prevedendo le sorti verso cui il mondo si avviava, cioè la seconda guerra mondiale, Lamenta che “Forse l’uomo è anche indegno di sperare…siamo noi una fiumana d’ombre”. Eppure, dalla Epifania del Dolore più inconsolabile di una Madre, che Si vede strappare dalla sua Vita la sua Creatura il Pascoli, nella Poesia “L’Aquilone”, Trova per tutte le Madri, che Sopravvivono ai loro figli, ancora, Infanti, un Poetico Motivo di Conforto. Penso alle Madri di Palmira, di Aleppo, di Amatrice: i loro fanciulli non altro hanno visto cadere, se non gli aquiloni. Mentre, se fossero diventati adulti, avrebbero sperimentato che la Vita promette e, poi, non mantiene.”Felice te, fanciullo mio, che al vento non vedesti cader che gli aquiloni”. E  magari, sarebbero diventati, come le loro madri e i loro padri, persuasi di non poter non far parte di questo mondo, così e così fatto, impostato, vissuto, e, quindi, responsabili, in solido con i potenti conduttori del sistema, della loro morte.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano                   

    


Pubblicato il 30 Agosto 2016

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