Invasi nostrani: otto… e mezzo
Le dighe sono sbarramenti artificiali che intervengono a regolare il deflusso di un fiume allo scopo di dare vita a invasi o bacini. Non sempre graditi dagli agricoltori per il fatto di sottrarre centinaia di ettari di terra fertile, i bacini presentano l’innegabile vantaggio collaterale di dare vita a oasi ambientali di grande pregio. Queste riserve d’acqua dolce, pensate a scopi potabili, irrigui e industriali, sono particolarmente numerose nelle terre più povere di fiumi. E’ il caso della nostra regione che può vantare ben dieci invasi di grandi dimensioni. Per meglio dire, i bacini pugliesi ‘dovrebbero’ essere dieci. Di fatto sono otto… e mezzo. Quelli ‘veri’ sono distribuiti nel centro nord della regione. Tre sono nel foggiano : il Torre Bianca (formato dalle acque del Celone), l’immenso lago di Occhito al confine fra Puglia e Molise (lo alimenta il Fortore) e, nei pressi di Cerignola, il Marana Capacciotti, dal nome dell’omonimo corso d’acqua. Altri tre invasi si aprono nell’entroterra barese : il Locone o Monte Melillo (nel territorio di Minervino Murge ; riceve le acque del Locone), il Serra del Corvo (nei pressi di Gravina ; lo alimenta il Basentello). Gli ultimi due invasi sono alla periferia di Brindisi : Fiume Grande, che rientra nel perimetro del Parco Naturale Regionale Saline di Punta della Contessa, e Cillarese, inserito nell’omonima Oasi di protezione faunistica. Manca all’elenco il Saglioccia e, in parte (ciò spiega il ‘mezzo punto’) il Pappadai. Questi due casi aprono il capitolo degli sprechi di denaro pubblico in fatto di dighe e invasi. Il Saglioccia, a poca distanza da Altamura, avrebbe dovuto raccogliere l’acqua del Bradanello e del torrente che gli dà il nome. Ma quella diga, pur ultimata, non è mai entrata in funzione. Se ci spostiamo nel tarantino troviamo un altro monumento alle opere incompiute. Nel territorio di Monteparara, ai confini dell’agro di Grottaglie, si allarga il bacino idrico Pappadai. Progettato per contenere 20 ml di metri cubi d’acqua, ne contiene meno del 20%, e di origine piovana. Si stima che dal 1984 ad oggi siano stati spesi 250 ml di euro per irrigare una vasta porzione di territorio del Salento e del tarantino. Ma quell’acqua, che doveva arrivare dal fiume Sinni in Lucania, non ha mai ‘invaso’ alcunché. Tra l’altro, senza manutenzione a causa del mancato utilizzo, le tubature (che si sospetta costruite in cemento e amianto…), le pompe e gli idranti sono ormai inutilizzabili. A completare il danno, la presenza nel Pappadai di rifiuti industriali e tossici, sfregio ambientale a cui non è estranea l’ecomafia locale. – Nell’immagine, uno scorcio del lago di Occhito.
Italo Interesse
Pubblicato il 20 Giugno 2018