Invaso del Pertusillo, la minaccia taciuta
L’esaurirsi dei giacimenti di petrolio e gas non spaventa più la Scienza. Oggi è possibile ricavare si può dire in casa, a costi contenutissimi e in quantità pressoché illimitate, shale gas e shale oil, ovvero gas e petrolio estratti in modo non convenzionale. Peccato che si tratti di una tecnologia fortemente invasiva e perciò nemica della green economy. La fratturazione idraulica (o fracking) consiste, una volta raggiunto il giacimento, nel pompare nel pozzo acqua miscelata con sabbie e composti chimici a 16mila litri al minuto e con l’aiuto di microesplosioni. Ciò migliora enormemente l’estrazione, portandola vicino al 100% della disponibilità del giacimento, ovvero come le trivellazioni comuni non consentono. Gli inconvenienti legati al fracking sono numerosi : Le micro esplosioni generano micro movimenti tettonici che possono rivelarsi micidiali in aree a rischio sismico. L’impiego di composti chimici come benzene, metanolo, isopropano e altri agenti mutageni e cancerogeni liberano in risalita metalli pesanti e altre sostanze nocive come il radon. Inoltre, se per effetto della pressione il rivestimento di cemento del pozzo viene meno, le falde acquifere ne risultano contaminate. La catastrofe del Golfo del Messico di tre anni fa (milioni di barili di greggio sversati in mare) conferma l’impossibilità di controllare una tecnica estrattiva dal violentissimo impatto ambientale. La tecnica della fratturazione idraulica è praticata anche in Italia per “ottimizzare” la produzione di metano in Emilia e di petrolio in Lucania. In Emilia sappiamo cosa è successo nel 2012. Per quanto riguarda il petrolio lucano un fracking-accident ebbe luogo il 6 giugno 2002 al pozzo Monte Alpi 1 Est della “concessione Val d’Agri, ENI” ubicato nel comune di Tramutola (Pz) e classificato come “pozzo di sviluppo” dall’UNMIG (Ufficio Nazionale Minerario Ministero Sviluppo Economico). Nella circostanza una valvola del condotto esplose facendo nebulizzare 500 litri di greggio (fonte ENI), inquinando il vicino bosco Aspro (il Monte Alpi 1 Est è a circa un chilometro dall’invaso del Pertusillo…). Per le associazioni ambientaliste, invece, la quantità nebulizzata sarebbe di gran lunga maggiore. Invece che chiudere quel pozzo, l’Ente Regionale nel 2010 ne ha autorizzato il ritorno in funzione. Nello stesso tempo l’Ufficio Compatibilità Ambientale della Regione Basilicata autorizzava il taglio delle piante contaminate di bosco Aspro senza fornire indicazione sull’utilizzo del relativo ed inquinato legname. A chi minimizza le cose, Achille Palma, un tecnico della Metapontum Agrobios, suggerisce di dare una spiegazione alle ondulazioni anomale sopravvenute nel territorio di Monte Alpi 1 est in concomitanza con l’incidente di cui sopra. Palma parla di “gobbe da inquinamento”. E il caso Monte Alpi non è il solo. In Pandosia.org Vito L’Erario elenca altri sei pozzi incidentati in Basilicata.
Italo Interesse
Pubblicato il 22 Marzo 2013