“Io sono malato, non è giusto farmi andare da una parte all’altra”
Peppino (il cognome meglio lasciarlo perdere) ha sessantacinque anni suonati e portati abbastanza male, vive a Bari Vecchia da sempre con la sorella, pure lei celibe e pure lei acciaccata cronica. Da un bel po’ di anni Peppino –che non se ne ricorda bene neanche più…- l’ha perso, il suo posto di lavoro che aveva nella fabbrica della Zona Industriale, messo in Cassa Integrazione e poi in mobilità, costretto al pensionamento anticipata da quell’azienda comunale dov’era stato assunto nel frattempo. Licenziato per assumere i soliti raccomandati, al posto suo, diciamocela tutta, visto che in quell’azienda di raccomandati ce ne sono sempre strati. Anzi, tantissimi, diciamo quasi tutti. Peppino dice ancora qualche parola pesante, quando parla di quella carogna dell’ex capo del personale, maledicendo anche la sua ignoranza, ma ora deve pensare ai parenti, ma soprattutto alla sua salute, sempre più zoppicante. Già, Peppino non ha più tanti amici, è rimasto da solo e gli acciacchi gli pesano ancora di più: praticamente solo anche quando qualche volta va ai giardinetti di piazza Garibaldi, maledettamente solo e malato. Anonimo, disoccupato e molto malato, peggio del peggio. Ha problemi col cuore e il medico gli ha detto di tenere d’occhio la pressione, ma anche i ritmi cardiaci e di farsi un bel ‘day-hospital’. “Spesso mi fa male il braccio sinistro, lo sento freddo e con uno strano formicolio, come se il sangue non circolasse bene, ma quando vado al Policlinico o all’Asl del Cto per prenotare, mi guardano e mi dicono di aspettare”. E così capita sempre più spesso che il poveretto, dopo aver passato mezza mattinata ad aspettare l’autobus a qualche capolinea, una volta arrivato al Centro Prenotazione del Policlinico o all’ex Centro Traumatologico del lungomare Starita, venga trattato frettolosamente da impiegati, medici e infermieri. Che gli rimandano la visita con mille scuse, come l’ultimo tra gli ultimi. L’ultima volta è stata un paio di settimane fa quando, dopo essere stato visitato dal medico curante che gli ha prescritto un ciclo di rieducazione neuromotoria, il nostro ha deciso di recarsi al Policlinico, per sapere dove svolgere il suo ciclo di cura e rieducazione. Ma al Centro Unico di Prenotazione di piazza Giulio Cesare, gli impiegati gli hanno detto senza manco guardare la ricetta che doveva andare all’ambulatorio della Azienda Sanitaria Locale, all’ex Cto. “Mi stanno facendo impazzire, mi fanno andare da una parte all’altra, ma cosa succede se mi viene un infarto, eh, cosa succede?”, si sfoga ora il povero Peppino. Che con la santa pazienza e tirata fuori la tessera annuale dell’Amtab, ha eseguito, ha preso il bus ed è sceso vicino alla Fiera del Levante, per recarsi negli uffici dell’ex Centro Traumatologico proprio di fronte al Centro Universitario. E qui è cominciata la solita trafila, spedito da un ufficio all’altro, da uno sportello all’altro, come un pacco postale. Alla fine, quando lui ha cominciato a perdere la pazienza, gli hanno detto che no, avevano sbagliato a indirizzarlo là: lui deve andare a piazza Chiurlia dalla dottoressa Rozio (o Sozio, o meglio ancora De Zio?, non se lo ricorda bene manco Peppino) per prenotare il ciclo. Numero di telefono e nome della dottoressa qualcuno gliel’ha scritto con la penna a stampatello, in fretta e furia, su un foglietto allegato con un fermaglio alla ricetta del medico curante. “Ma prima di andare, mi raccomando, telefoni, perché la dottoressa non ci va sempre, in ambulatorio”. La visita di Peppino è ad aprile dell’anno venturo, ore nove. Il giorno preciso se l’è segnato a penna da qualche parte, ma adesso non se lo ricorda bene. E domani, forse, anche per lui è un altro giorno.
Francesco De Martino
Pubblicato il 13 Ottobre 2015