Iside restituì forma umana a Lucio
In ‘L’Asino d’oro’ di Apuleio, il protagonista, Lucio, per effetto di un incauto esperimento, si trasforma in un somaro. Solo al termine di amene peripezie potrà recuperare le sembianze umane. Ciò avviene per intercessione di Iside con la quale egli ha un breve dialogo. In tale scambio di parole la Dea si palesa elencando i molti nomi sotto cui è conosciuta : “Là i Frigii primigenii mi chiamano madre degli dei di Pessinunte, qui gli autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i Cretesi sagittari Diana Dictinna, i siculi trilingui Stigia Proserpina, gli Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli Ramnusia;
e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del sole nascente, e gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica sapienza, onorandomi con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il vero nome regina Iside”. Quel vago riferimento a popoli ‘rischiarati dai primi raggi del sole nascente’ ha indotto alcuni a pensare ai primitivi abitatori delle Puglie. Una tesi audace. L’avesse ritenuto opportuno, Apuleio non avrebbe avuto difficoltà a citare le stirpi japigie, ovvero Dauni, Peuceti e Messapi. L’accenno, poi, è in coda al passo, là dove di si parla di genti via via più lontane da Roma, come Egizi ed Etiopi. Oltre queste distanze, i nomi si fanno memoria remota, per cui l’unico elemento identificativo resta quello geografico, cioè l’est più remoto dove spunta il sole. Questo abbaglio nasce dal fatto che nel territorio di Calimera, nel sud della Puglia, esiste la chiesa di San Vito, costruita intorno ad una curiosa escrescenza rocciosa che presenta un foro pressoché circolare del diametro di una quarantina di centimetri. Questo breve ‘tunnel’, che si sviluppa parallelamente al piano di calpestio fa ragionevolmente credere che ai tempi dell’uomo della pietra quel monolito abbia svolto una funzione di omphalos, ovvero di pietra sacra. La sua straordinaria conformazione, che in qualche modo ricorda il sesso femminile, rende possibile credere che per essa i primitivi facessero passare i neonati. Tanto allo scopo benaugurale di celebrare il passaggio dal mondo del grembo a quello della luce. Intorno a questa cerimonia, più avanti, deve essersi stratificata la credenza che quel monolito propiziasse fertilità e parti. Troppo poco per concludere che il culto della Dea Madre lì celebrato avesse contorni di notorietà tali da raggiungere i più elitari cenacoli dell’impero, quali erano quelli frequentati da Apuleio. A parte la singolarità della conformazione, quello detto ora ‘di San Vito’ resta un omphalos come tanti. Di pietre sacre il mondo preclassico rigurgitava e la maggior parte di esse deve ancora essere scoperta. Solo intorno ad alcuni furono elevati templi consacrati al culto di Iside. L’omphalos di Calimera non conobbe questa fortuna, salvo incontrare ‘cristiana’ notorietà passato l’anno Mille (della chiesa di San Vito si parla per la prima volta in un atto notarile del notaio Gabriele Gaetano di Otranto datato 6 marzo 1468).
Italo Interesse
Pubblicato il 6 Settembre 2018