Italia olivicola: “In un’annata come questa le frodi rischiano di essere una normalità”
L’annata olivicola del 2018/2019 negli annali della produzione agricola nazionale sarà sicuramente ricordata come una delle peggiori della storia degli ultimi 60-70 anni. Infatti, la campagna olivicola da poco terminata è considerata, insieme a quella del 1956 e del 1990, tra le più scarse per quantità di olive raccolte e, quindi, di olio prodotto. Però, come ha denunciato con una recente nota il Consorzio “Italia olivicola”, è un paradosso che, a fronte di una produzione di olio extra vergine di oliva dimezzata di parecchio (oltre il 60%) rispetto alla media delle precedenti annate, i quantitativi in giacenza invenduti (e, quindi, non ancora commercializzato) dell’ottima produzione della precedente annata siano ancora parecchi. Un mistero, questo, che – secondo “Italia olivicola” – rende poco comprensibile il funzionamento del settore nazionale dell’olio di oliva e che invece andrebbero risolto, soprattutto in questa fase nella quale si stanno compiendo scelte importanti per la stesura del nuovo “Piano olivicolo nazionale”. Infatti, è sicuramente da svelare il perché, anche in un’annata di scarsissima produzione, come è stata quella ultima, vi siano volumi record di giacenze di olio extra vergine di oliva “Made in Italy” non commercializzati. E, quindi, ancora giacenti nei depositi di frantoiani, cooperative e produttori, per scarsezza di domanda e conseguentemente di prezzi che, pur in carenza di prodotto, non decollano. Infatti, secondo quanto rileva la stessa Associazione consortile, i dati pubblicati dall’Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressioni frodi), tratti dal sistema ministeriale di tracciabilità telematica (Sian), informano che, a fine settembre 2018, il 25% della produzione di olio extra vergine di oliva ottenuta nel corso della campagna 2017-2018 era ancora detenuta invenduta ed allo stato sfuso dagli operatori di produzione. Vale a dire frantoi, cooperative, consorzi di produttori, ecc. Un quantitativo che, sempre secondo “Italia olivicola”, in base ad elaborazioni dell’Ismea si aggirerebbe intorno alle 100mila tonnellate di ottimo olio extravergine d’oliva italiano che non è stato commercializzato, in un’annata in cui si è raggiunto il picco dei consumi interni delle ultime quattro campagne di commercializzazione. Ancor peggiore è il dato per le produzioni di olio nazionale certificato. Infatti, riferiscono da “Italia olivicola”, le giacenze di olio extra vergine di oliva riconosciuto come Dop/Igp o biologico, all’inizio dell’ultima campagna olivicola (primi di ottobre), hanno addirittura superato il 100% del volume di produzione annuale. Una situazione, quindi, particolarmente allarmante per il comparto olivicolo ed oleario nazionale, perché rende incomprensibili alcune recenti operazioni commerciali a danno dell’immagine dell’extravergine 100% italiano. “E’ mai possibile – si chiede il presidente di ‘Italia olivicola’, Gennaro Sicolo – che un quarto del prodotto ‘made in Italy’ ottenuto rimanga in mano a olivicoltori e frantoiani, in un’annata durante la quale abbiamo importato 550.000 tonnellate di olio di oliva?” Infatti, secondo l’importante Organizzazione consortile, se il prodotto italiano non viene venduto, come dimostrano i numeri, è ragionevole dubitare che nelle bottiglie venga spacciato per italiano olio ciò che in realtà non è. “Siamo al centro di una grande speculazione che – ha aggiunto Sicolo – mira ad affossare l’olivicoltura italiana, costringendo gli agricoltori a svendere il prodotto di qualità a prezzi bassissimi, così come succede in Spagna e Tunisia. E non si spiega altrimenti, d’altronde, il riscontro sugli scaffali con oli definiti ‘100% italiani’ venduti a 2,99 euro al litro”. Per Sicolo, infatti, “occorrono maggiori controlli, sempre più in profondità, per evitare che simili storture si manifestino” e che assicura: “Combatteremo questo sistema in maniera forte e netta, augurandoci un intervento concreto e deciso del Governo, per evitare che le frodi, le contraffazioni e le truffe nei confronti degli agricoltori e dei consumatori possano diventare la normalità” nel comparto. Per la cronaca va anche ricordato che l’Italia è il più importante importatore di olio d’oliva al Mondo, con una media di 560mila tonnellate per anno nell’ultimo triennio, ed è anche il primo Paese per consumi di olio con una media annuale di quasi 60omila tonnellate. Dati, questi, che confermano l’importanza di detto settore economico per l’Italia, ma nel contempo anche la drammaticità delle accennate storture. Dal fronte protestatario delle realtà associative agricole pugliesi giunge notizia di una richiesta urgente di incontro, avanzata al ministro delle Politiche agricole del Governo “giallo-verde”, il leghista Gian Marco Centinaio, da Agrinsieme per discutere delle difficoltà in cui versa il comparto, soprattutto in Puglia, dove – come è noto – l’olivicoltura (in condizioni di ordinarie) rappresenta da sempre più del 50% dell’intera produzione nazionale. Agrinsieme – come è noto – è una realtà associativa di secondo grado che raggruppa al proprio interno Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri ed importanti centrali cooperative come Confcooperative FedAgriPesca, Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital, a loro volta riunite nella sigla Alleanza Cooperative Italiane – Settore Agroalimentare. Pertanto, detto Organismo associativo rappresenta oltre i 2/3 delle aziende agricole italiane, con il 60% del valore della produzione agricola e della superficie nazionale coltivata ed oltre 800mila persone occupate nelle imprese rappresentate. Dati, questi, che nell’insieme danno l’idea di quanto, anche per questa Confederazione di associazioni del settore, sia preoccupante l’attuale situazione di crisi in cui dell’olivicoltura pugliese. Infatti, nella richiesta di incontro inoltrata da Agrinsieme al titolare del Dicastero romano di via XX Settembre si afferma: “In occasione di un recente incontro abbiamo rappresentato le difficoltà che il mondo olivicolo pugliese sopporta da qualche tempo, in ordine alle quali era stato individuato un percorso che avrebbe dovuto condurre all’immediato riconoscimento dello stato di calamità naturale, con la conseguente attuazione di quanto previsto dalla Legge 102/2004”. Quindi, – si prosegue nella missiva – “Nella consapevolezza, però, che questo provvedimento non può rappresentare l’unica soluzione a problematiche ben più complesse, si sollecita il Governo affinché, parallelamente allo stanziamento di fondi nazionali e all’attuazione di un Piano olivicolo nazionale, ci si attivi anche in sede comunitaria e ci si adoperi per l’approvazione di misure eccezionali a sostegno dell’olivicoltura pugliese, come già avvenuto nel recente passato, ad esempio, per altri settori”. Auspicio, questo, oltre che monito, per quanti ancora confidano in un futuro più roseo per l’agricoltura e, più in particolare, per l’olio extra vergine di oliva effettivamente “Made in Italy” e non soltanto per l’etichetta o la patria di confezionamento.
Giuseppe Palella
Pubblicato il 31 Gennaio 2019