Cultura e Spettacoli

Jom vuol dire coraggio

‘La puttana rispettosa’ è un dramma di Jean Paul Sartre del 1946 da cui otto anni dopo Charles Brabant e Marcello Pagliero trassero un film e che nel ’74 divenne un telefilm girato da André Flédérick). L’opera, che si ispira ad una storia vera riportata da Vladimir Pozner in ‘Gli Stati Disuniti’ del 1938, ha per oggetto un caso di ordinaria segregazione razziale occorso nel Midwest degli Stati Uniti intorno agli anni venti.  La settimana scorsa, al Bravò, l’opera è stata portata in scena dalla compagnia Onirica Poetica Teatrale ma con un titolo diverso :  ‘Jom’, che in lingua senegalese vuol dire ‘coraggio’. E di coraggio si parla in ‘Jom’ quando all’interno dello spettacolo si apre una parentesi pertinente e di grande attualità, ispirata dalle parole di Bay Mademba, giovane africano che alla sua esperienza di migrante Senegal-Italia ha dedicato un libro. Ora che questi viaggi della speranza dal Sud del Mondo in Occidente sono in aumento, logica conseguenza a posteriori di sventurate politiche coloniali, sono in molti da noi a reclamare la caccia al rumeno, le ronde anti-islamiche, il genocidio per gli zingari e i fucili contro i barconi, cioè le stesse misure da Ku Klux Klan il cui funesto spirito inquina ‘La puttana rispettosa’.  Così, l’anonimo protagonista de ‘La puttana rispettosa’, il ragazzo di colore che sfugge al linciaggio gratuito (ma senza impedire che bianchi integralisti rinuncino alla preda mettendo a morte un altro innocente ovviamente negro) evolve in un Bay Nademba, rappresentante di una moderna e differente ma non per questo meno osteggiata esigenza di giustizia. Vito Latorre, che firma traduzione e regia, oltre a vestire i panni di un tagliente pezzo grosso, unge l’arroganza bianca di un calore vagamente latino. A metà fra il tanguero e il gangster, si muove l’eterno padrone bianco, ora nei panni di un intoccabile, ora in quelli più vili di un figlio di papà (Francesco Lamacchia). Lo schiocco della frusta sfiora anche a Lizzie, la seconda emarginata di questa storia. Già donna perduta, Lizzie  viene pure dall’estero (come la cadenza un po’ slava impressa da Ermelinda Nasuto – l’interprete – fa intendere). Ma Lizzie quanto meno è bianca e può permettersi qualche libertà di parola. Ovvero quanto è impensabile per l’innominato protagonista del dramma (Antonio Repole) che lontano dal suo sgabello-trespolo, emblema di collocazione sociale, può solo fuggire, nascondersi e implorare asilo (e quanti giovani cercano rifugio da noi perché diversi, cioè cristiani, gay, dissidenti…). Latorre cura molto l’aspetto musicale che affida ad esecutrici a vista (Gabriella Altomare e Arianna Di Savino, anche impiegate come braccio armato del Potere). Ciò enfatizza i momenti più drammatici di un ben riuscito allestimento.  – Scene e costumi di Rossella Ramunni, direzione tecnica di Alfredo Utech.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 19 Novembre 2014

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