Cultura e Spettacoli

La banda, energia da vendere

 
 
Si rimprovera spesso a questa e a quella formazione, di grande richiamo o di nicchia che sia, di tendere – una volta messo assieme un proprio pubblico – a suonarsi addosso, ovvero a ripetersi sempre più stancamente fino allo stop per esaurimento d’attenzione. Un epilogo mesto che si può scansare solo a condizione di un rinnovamento radicale, che vuol dire mutare rotta al momento opportuno, sulla base di un’idea innovativa e coraggiosa. E’ quanto hanno fatto i Radiodervish con l’ultima incisione (Bandervish). Non avessero incontrato sulla loro strada quel musicista geniale che è Livio Minafra e la Banda di Sannicandro di Bari, Nabil Salameh e Michele Lobaccaro si ritroverebbero inoltrati – e forse senza possibilità di ritorno (certo successo lega le mani) – in un vicolo cieco. Ma il contributo anche compositivo di Alessandro Pipino (il polistrumentista della formazione) e il colpo d’ala di Minafra (suoi gli arrangiamenti, oltre l’idea di innestare il colore bandistico all’interno di un tessuto musicale mediorientale) hanno potuto il miracolo di un disco  intrigante e prezioso per il fatto di indicare un filone nuovo o almeno una via di fuga alla stasi creativa di questi ultimi anni. Gli inserimenti, infine, di noti fiatisti a vocazione jazz (Roberto Ottaviano, Gaetano Partipilo e Pino Minafra, il padre di Livio) completano il quadro di un’operazione audace quanto intelligente, raffinata, complessa, coerente. Sessanta minuti di grande musica ripartita in dodici brani. Dopo una ficcante ‘Intro’ che anticipa il leit-motiv del disco (coniugare la tradizione bandistica con sonorità arabo/occidentali), ‘L’immagine di te’ esemplifica la grande trovata coniugando il ritmo di Santi portati a spalla con le suggestioni languide del canto d’amore dell’area libano-palestinese. Il successivo’Les Lions’ ha nell’impiego del rullante e degli ottoni un incipit solenne, un po’ enfatico, anche drammatico che poi, al momento opportuno, svolta verso il canto dolcissimo di Nabil nel rispetto di una partitura rigorosa. Con ‘L’esigenza’ i Radiodervish tornano ad imporre la loro cifra ma con arrangiamenti più ricchi che in passato. Dopo il gradevole ‘Lamma Badà’, un traditional arrangiato da Minafra e Radiodervish, è il turno di ‘All my will’, composizione dall’apertura descrittiva, vagamente operistica dove Salameh è come chiamato all’interpretazione di una rarefatta romanza, prima che la banda riprenda il sopravvento con solennità da marcia funebre. ‘Avatar’ è ancora più interessante per la tensione prodotta dal contrasto dei fiati con la serenità del canto. ‘Ti protegge’ si distingue per l’apertura elegiaca e la naturalezza con cui Nabil si inserisce su un tappeto di fiati ; poi, poco a poco, irresistibile come una marea, in crescendo torna la banda, autorevole, irresistibile. ‘Foghen Nakhal’ ha un attacco bandistico da cassa armonica ; più avanti sax e banda dialogano in un crescendo pieno di energia dove il canto sa ritagliarsi spazi pertinenti. ‘Sea Horses’, unica oasi strumentale, richiama il ritmo quieto di cavalli a dondolo da giostra in mezzo ad un languore non sgradevole da Venerdì Santo. Il suadente ‘Ainaki’ anticipa il finale ‘Dio pazzo Dio pane’ che chiude il disco riassumendone la cifra malinconica prima dell’apoteosi conclusiva. Apoteosi che rimanda stilisticamente al brano d’apertura. A questo punto si può ricominciare. Lo consente l’andamento circolare di ‘Bandervish’, un disco da ascoltare assolutamente in cuffia per gustarne il riuscito mèlange di delicatezza sottile e robusta energia.
italointeresse@alice.it
 


Pubblicato il 16 Novembre 2011

Articoli Correlati

Back to top button