La caccia intensiva degli antenati
La Grotta dei Cervi a Porto Badisco, nell’otrantino, si distingue per la vastità del complesso pittorico (uno dei più grandi al mondo) che ne orna le pareti. Le immagini, che risalgono a quattro, cinquemila anni fa, sono state realizzate impiegando come inchiostro una mistura di guano di pipistrello e ocra rossa. I temi, numerosi, sollevano interrogativi. Perché tanti indecifrabili disegni geometrici? Il sospetto è che quello fosse un luogo magico. Lo confermerebbero l’immagine di uno sciamano danzante e quella, più criptica, di un uomo dai piedi palmati. La presenza, poi, di un gran numero di impronte di piccole mani solletica l’ipotesi di un santuario preposto a riti d’iniziazione/ingresso nell’età adulta. Si può allora immaginare maschi poco più che puberi chiamati ad una prova di coraggio: Da soli, con l’unico ausilio di una torcia, scendere nell’antro, attraversarlo interamente lasciando sulle pareti una traccia di tale passaggio (l’impronta della mano) e, nell’ultimo ambiente, ricevere dallo sciamano (con o senza piedi palmati) il crisma di guerriero-cacciatore. Sulle stesse pareti, poi, spiccano scene di caccia che vedono molti cervi (da cui il nome della grotta) insidiati da pochi uomini armati di arco. Dunque, gli altopiani pugliesi – che a differenza di oggi dovevano presentarsi boscosi e attraversati da corsi d’acqua – ospitavano mandrie di cervi. Probabilmente cervi della sottospecie oggi chiamata ‘italica’. Lo si desume dal rapporto dimensionale tra la figura dell’animale e quella del cacciatore. Nella rappresentazione, infatti, l’uomo (la cui altezza media, allora, si attestava intorno ai 150 cm.) appare superiore in altezza alla preda. Tanto porta ad escludere che i cervi in questione fossero megaloceri, ovvero quei cervi giganti (due metri al garrese e palchi dell’ampiezza di 3,5 m.) andati in estinzione intorno al 10.000 avanti Cristo. Fa specie in questi pittogrammi l’esiguo numero di cacciatori a fronte di mandrie numerose. Ciò segnala un’altra cosa: i nostri progenitori sapevano fare gioco di squadra, che nel caso della caccia al cervo significava attaccare la mandria da lati opposti in modo da costringere le prede a fuggire in direzione di ben mimetizzate trappole a fossa o di fatali strapiombi. Una tattica estremamente produttiva nella quale si può riconoscere in embrione il concetto di caccia intensiva. Chissà che la scomparsa del cervo dal nostro territorio non sia da attribuire più alle competenze venatorie di quei neolitici che ai guasti di un’antropizzazione allora ancora ben lontana da venire. – Nell’immagine, rappresentazione minimale di due cervi adulti seguiti da altrettanti cuccioli; alle loro spalle si muove un cacciatore-arciere.
Italo Interesse
Pubblicato il 13 Gennaio 2021