La cattiva trovata del Principe
Il braccio di mare compreso fra Savelletri e Brindisi è il più insidioso dell’Adriatico a causa di un singolare e sfavorevole convergere di correnti d’aria e d’acqua. Ciò ne ha fatto in passato, diciamo sino agli ultimi giorni della navigazione a vela, un cimitero di navi. Tracce di qualche migliaio di naufragi fanno di quel tratto di costa una miniera d’incalcolabile valore. A volte si rinvengono frammenti del fasciame di imbarcazioni sfortunate, più spesso se ne rinviene parte del carico : anfore, ancore, scandagli, ceramiche… Il rinvenimento più insolito è stato quello di un’imbarcazione dell’era rinascimentale carica di pietrisco. Il relitto giace ancora sul fondo del canale d’ingresso al porto di Brindisi. Questa volta però correnti assassine e mareggiate c’entrano poco: quella nave venne affondata deliberatamente. Un affondamento avvenuto nel 1446 all’epoca del Principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, il più potente signore del Regno di Napoli (il territorio sotto il suo controllo comprendeva sette arcivescovadi, trenta vescovadi ed oltre 300 castelli, tant’è che il Principe poteva spostarsi da Salerno a Taranto quasi rimanendo sempre sui propri territori). Ritenendo il porto di Brindisi a rischio attacco da parte della Serenissima, l’Orsini, che non disponeva di forze sufficienti a respingere un assalto, pensò di scoraggiare i Veneziani ostruendo l’ingresso del porto. Fece perciò affondare per traverso e nel punto più strategico una vecchia nave da carico zavorrata ai limiti della portata. Poiché in quel punto i fondali erano piuttosto bassi (la navi del Quattrocento avevano un ‘pescaggio’ – la distanza tra la chiglia e la linea di galleggiamento – molto contenuto) l’imbarcazione sarebbe fuoriuscita all’altezza del ponte. In quel modo nessuna nave nemica avrebbe potuto manovrare senza rischiare una collisione fatale. E la sua stessa consistenza avrebbe preservato quell’anomalo frangiflutti dall’azione del mare per molti anni. La trovata del Principe, se scansò a Brindisi i rischi di uno sbarco nemico, segnò la fine di quel porto per oltre tre secoli. Per vedere ripristinata la navigazione si dovette attendere il 1775, anno in cui Ferdinando IV di Borbone stanziò i fondi necessari. I lavori, affidati ad Andrea Pigonati, tenente colonnello del Genio (coadiuvato dal matematico don Vito Caravelli), si protrassero dal 1776 al 1780. L’operazione si rivelò piuttosto complessa poiché in tre secoli di inattività il porto si era totalmente impaludato. E comunque il risultato finale si rivelò incompleto, sicché dopo il 1780 si resero necessari ulteriori interventi, che si protrassero fino ai primi decenni dell’Ottocento.
Italo Interesse
Pubblicato il 2 Dicembre 2015