Cultura e Spettacoli

La chiave dell’ascensore (per l’inferno)

‘La chiave dell’ascensore, un testo di Agota Kristof  scritto nel 1977 riflette il clima di ‘reazione’ che in quegli anni si sviluppò in controtendenza al movimento di emancipazione femminile, che proprio allora sbocciava. Un clima andato poi in crescendo e al quale si può ricondurre il fenomeno del femminicidio o più in generale della rinnovata violenza dell’uomo a danno della donna. ‘La chiave dell’ascensore’   esemplifica il concetto di fiaba macabra : Una donna è tenuta sotto sequestro da un marito psicopatico. Con l’aiuto di un medico compiacente, l’uomo infierisce su di lei limitandone progressivamente prima la capacità di muoversi, poi quella di vedere. Alla fine, in un lampo di tardiva consapevolezza mista a rabbia, la donna riesce a vendicarsi infliggendo al suo carnefice un letale colpo di bisturi. Per meglio evidenziare la cifra fiabesca del testo della Kristof, Dario Lacitignola apre il suo spettacolo col racconto di una brevissima fiaba di sapore tradizionale, ma in controtendenza dal momento che qui la bella castellana resta invano ad aspettare il suo principe azzurro. L’escamotage consente di individuare un’agevole scorciatoia tra il (comunque crudele) mondo delle fiabe e questa greve realtà globale, facilmente intrisa di sangue femminile. Il ben riuscito innesto dà il via al monologo del terrore della povera donna (Antonella Colucci). La parte maschile è marginale, ridotta a poche apparizioni di un tagliente Dario Lacitignola – il marito – e del suo braccio armato, il medico (Pasquale D’Amico). Ritroviamo quest’ultimo in coppia coreutica con Elena Sansonetti. Quello coreutico costituisce l’aspetto più appariscente di questa produzione Folletti e Folli. la danza dei bravi D’Amico e Sansonetti scivola in parallelo al racconto della Colucci. Il parallelismo, efficace, lascia un dubbio in sospeso : è il gesto che didascalizza la parola o piuttosto il contrario? Una messinscena apprezzabile, cui può rimproverarsi solo lo sviluppo stringato, e che ha incontrato il favore del pubblico del teatro Bravò, dove lo spettacolo era avantieri in cartellone. Notevole il contributo musicale : in apertura domina la fisarmonica del maestro Giorgio Albanese le cui composizioni originali piovono delicate e nostalgiche sul gesto e sulla parola di un cantastorie-clown (ancora il buon Dario Lacitignola). A seguire, composizioni di autori vari, scelte con acume da Riccardo Rodio. Registrazioni di Nicola Farina, costumi di Grazia Semerano, scenografia di Dario Lacitignola e Antonella Nacci, collaborazione tecnica di Piero Putignano. Regia di Dario lacitignola, produzione Folletti e Folli.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 8 Aprile 2016

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