La crisi dell’acqua? Passa attraverso disfunzioni, sprechi e disattenzioni
Sono anni che in alcune zone della Città di Bari, specie nel borgo antico e alla periferia sud, verso Japigia e San Pasquale, la mancanza di pressione nelle condotte conduce alla crisi dei rubinetti, specie ai piani alti. Sono anni che l’ente Acquedotto ha tentato strade e scelte diverse, ma senza risultati concreti. Eppure la soluzione alla crisi idrica, certo non solo riguardo al capoluogo, passerebbe attraverso il corretto riutilizzo dei reflui, per il potenziamento della rete irrigua dei Consorzi di Bonifica e dell’Arif, per una lotta agli sprechi e il recupero delle grandi opere pubbliche incompiute. Il ricorso ai dissalatori non può essere una strada percorribile, in quanto, sono energivori, con alti costi di manutenzione e il loro utilizzo solo in determinati periodi dell’anno ne comprometterebbe la funzionalità. Ne è convinto il consigliere pugliese del Movimento 5Stelle Cristian Casili, che torna a parlare dell’emergenza idrica, chiedendo al governo regionale una corretta programmazione della gestione delle acque. Il fabbisogno idro potabile dei pugliesi si attesta sui 500 milioni di metri cubi d’acqua, spiega Casili, mentre per la nostra agricoltura ammonta su circa mille milioni di metri cubi. “L’attuale crisi idrica – continua il Vicepresidente della V Commissione Ambiente – che sta mettendo a dura prova la gestione delle nostre acque, rischia di essere solo la punta dell’iceberg. I prossimi anni potrebbero essere ancora più critici, come dimostra il trend sui dati climatici riguardo le precipitazioni dell’ultimo decennio. Eppure Emiliano e la Giunta continuano a sottovalutare il problema, che richiede una seria programmazione nel lungo periodo. Le misure idrauliche emergenziali del governo Emiliano – continua – sono distanti anni luce da una corretta pianificazione. Ne è prova il disinteresse del governo regionale verso i consorzi di bonifica e l’Arif, che fino ad oggi hanno gestito la distribuzione di acqua per usi irrigui. Un disinteresse che dimostra come il riutilizzo delle acque di depurazione, un patrimonio di quasi 300 milioni di mc che oggi gettiamo in trincea, a mare e nei torrenti, sia solo uno spot per il Presidente”. Altro tema è quello delle opere incompiute: l’invaso del Pappadai in Provincia di Taranto, costato oltre 250 milioni di euro, con una capacità di 20 milioni di metri cubi è una delle grandi opere pubbliche mai terminate,da cui non viene prelevato un solo litro di acqua. Anche l’invaso del Cogliandrino le cui acque sono utilizzate da Enel per la produzione di energia elettrica potrebbe rappresentare una ulteriore risorsa. “Sia chiaro sull’acqua non possono e non devono esserci speculazioni di nessun tipo – incalza il consigliere cinquestelle – è una risorsa che va garantita e tutelata nel tempo. A pesare di più sul bilancio idrico dei pugliesi è l’agricoltura, a cui va certamente garantita acqua possibilmente a prezzi omogenei su tutto il territorio regionale. Servono una serie di azioni che vanno dall’adeguamento degli attuali impianti e della rete, ormai obsoleti, fino al recupero dei reflui, puntando a colture meno idroesigenti e a sistemi di microirrigazione così come avviene in molte aree del Mediterraneo. A tal riguardo occorre puntare a colture di ecotipi locali in regime di aridocoltura, selezionando il materiale genetico a nostra disposizione che fa parte della biodiversità della nostra regione, ma anche su questo nessuna attenzione del Governo dove la voce agricoltura è la grande assente. Non possiamo più permetterci di destinare le attuali quote di acqua prelevati dagli invasi e dalle sorgenti ad usi diversi da quello potabile. Il Salento, in particolare, soffre ancora di più questa crisi rispetto ad altri territori pugliesi, perché l’acqua viene prelevata prevalentemente dai pozzi di falda sia per usi potabili che irrigui e c’è lo spettro della contaminazione salina, che rischia di rendere irreversibilmente inservibili le nostre acque”. (adl)
Pubblicato il 4 Novembre 2017