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La crisi geopolitica provoca pesanti effetti negativi soprattutto nell’agroalimentare

 

La crisi geopolitica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni economico-finanziarie stabilite dai Paesi occidentali nei confronti della Russia di Putin, nel tentativo di far tacere le armi ed avviare un negoziato diplomatico, in Puglia stanno provocando pesanti effetti  negativi soprattutto sul settore agroalimentare, dove i rincari energetici esponenziali e la carenza nelle forniture di materie prime, concimi e alimenti per animali rischiano di mettere letteralmente in ginocchio l’attività di moltissime imprese del comparto. Infatti, fornitori ucraini e russi nelle scorse hanno informato i loro clienti italiani, e quindi anche pugliesi, che non potranno rispettare le consegne delle merci concordate e che pertanto sospenderanno i contratti in essere, poichè la situazione che si è verificata nei territori del Mar Nero e nel mare di Azov, al momento, rende impossibile la partenza verso l’Italia dei prodotti acquistati e l’arrivo di parte dei quali quali era previsto in questi giorni anche in Puglia. “Gli allevatori – ha affermato in una nota il presidente di Confagricoltura Puglia, Luca Lazzàro – stanno avendo serissimi problemi soprattutto nel ricevere forniture di farine di estrazione di girasole e dei cereali di produzione e provenienza ucraina e russa” e “questo sta creando un danno enorme e accentua le difficoltà già provocate dei rincari sulle materie prime che va avanti da mesi”. Ma problemi – ha denunciato, inoltre, la stessa associazione di categoria – si registrano anche nelle forniture verso la Puglia di prodotti granulari e azotati per le concimazioni e molte aziende che riforniscono gli agricoltori hanno sospeso i propri listini prezzi e le forniture, in attesa che la situazione internazionale si chiarisca, facendo anche presente che al momento sono pure bloccate le transazioni economiche con le quali gli agricoltori pugliesi ricevono il pagamento dei beni venduti o pagano i prodotti acquistati. Quindi, ha concluso il presidente pugliese di Confagricoltura, “sono necessari interventi per evitare che le aziende, già provate da due anni di pandemia, chiudano del tutto con un danno non solo per l’imprenditore ma anche per i consumatori”. Le grida d’allarme per la situazione del comparto primario pugliese giungono anche da Coldiretti Puglia e da Copagri Puglia che, con rispettive note, hanno anch’esse evidenziato lo stato di crisi del settore agroalimentare nella nostra regione, a seguito del conflitto bellico aperto nell’est Europa e delle misure sanzionatorie adottate per tentare di riportare la pace in quell’area geografica. I prodotti agricoli più colpiti sono quelli cerealicoli, per i quali l’Italia è fortemente deficitaria e, quindi, – secondo Coldiretti – importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame e di cui l’Ucraina risulta il nostro secondo fornitore di mais, con una quota di poco superiore al 20%, garantendo anche il 5% dell’import nazionale di grano.Ora, infatti, – ha denunciato Coldiretti Puglia – l’aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%), a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse – ha sottolineato Coldiretti Puglia – ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori.Però, per fermare le speculazioni a livello internazionale e garantire la disponibilità del grano nel nostro Paese, e soprattutto in Puglia, – per il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia – ci sono tutte le condizioni per incrementare la produzione locale, ma occorre una giusta remunerazione del lavoro effettuato degli agricoltori “che sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro dove è vietato l’uso del glifosate in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada ed in altri Paesi”, poiché sono “ dannosi per il tessuto economico del territorio percorsi di abbandono e depauperamento dell’attività cerealicola che deve, invece, specializzarsi, puntare sull’aggregazione, essere sostenuta da servizi adeguati e tendere ad una sempre più alta qualità, scommettendo esclusivamente su varietà pregiate, riconosciute ormai a livello mondiale”. Infatti, attualmente, l’Italia – ha rilevato Coldiretti Puglia – è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni, durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati, perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera. E quest’anno – ha rilevato ancora Coldiretti – sono praticamente raddoppiati in Puglia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni, ma ad aumentare sono stati pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare, per cui per seminare un ettaro di grano gli agricoltori spenderanno 400 euro in più dell’anno scorso. Ma nonostante questo – ha commentato la Coldiretti regionale – il grano duro italiano è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero, da Paesi come il Canada, dove è coltivato peraltro con l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, invece vietato in Italia. Una denuncia sulla situazione del mondo agricolo nazionale è stata lanciata anche dal presidente di Copagri, Franco Verrascina, che intervenendo alla tavola rotonda “I mercati agricoli nel 2022: previsioni, attese e strategie”, svoltasi a “Fieragricola” di Verona, alla presenza del presidente dell’Ismea, Angelo Frascarelli, ha dichiarato: “L’instabilità politica ha fatto ulteriormente lievitare i prezzi delle materie prime agricole, con inevitabili e pensati ripercussioni anche sul versante energetico, in particolare sul petrolio e sul gas”, spiegando che “i settori maggiormente esposti da questi rincari sembrano essere al momento la zootecnia da carne e l’allevamento da latte, comparti nei quali gli aumenti non sono stati compensati da conseguenti incrementi dei prezzi del medesimo tenore”. “Tale situazione – ha proseguito il presidente di Copagri – va ad aggiungersi agli aumenti già verificatisi negli ultimi mesi e alle difficoltà ataviche che da anni frenano lo sviluppo del primario, cui si sommano a loro volta gli effetti del climate change, con i sempre più frequenti e imprevedibili eventi climatici estremi”. Perciò, per Verrascina, “a fronte di queste condizioni, diventa sempre più complesso per i produttori agricoli rispondere ai sempre più impegnativi orientamenti comunitari in materia di ambiente e di emissioni, anche se rimane molto sentita l’esigenza di lavorare per orientare la produzione agricola verso modelli maggiormente sostenibili e improntati alla sicurezza alimentare e alla qualità”. “In ogni caso, – ha concluso il presidente della Copagri – vale la pena di ricordare che il primario, oltre ad aver saputo reggere egregiamente l’urto della pandemia, durante la quale tra mille difficoltà ha contribuito ad assicurare la tenuta socioeconomica del Paese e il regolare rifornimento degli scaffali, ha dimostrato di avere le carte vincenti per superare le minacce competitive e consolidare le proprie performance sui mercati”. Pertanto, per il prossimo futuro – per Verrascina – bisogna accelerare e convergere su una strategia condivisa di crescita, da attuare con un lavoro comune fra gli operatori del food system e in sinergia con le istituzioni pubbliche, al fine di mettere a sistema gli oltre 190 miliardi di euro del Pnrr e i circa 36 miliardi di euro della Pac per il comparto agricolo nazionale.

 

Giuseppe Palella 

 

 

 

 


Pubblicato il 3 Marzo 2022

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