La danza che celebra i grandi valori dell’esistenza
The Tokyo Ballet in scena al Teatro Petruzzelli
Grande attesa per l’esibizione di giovedì sera 21 novembre al Petruzzelli, e in scena fino a domenica, della compagnia The Tokyo Ballet, fra i più grandi e prestigiosi corpi di ballo del mondo, che si articolerà in tre affascinanti coreografie: Dream Time di Jirí Kylián, Romeo e Giulietta, pas de deux di Maurice Béjart e La Sagra della primavera di Maurice Béjart.In Dreams Time di Jirí Kylián, su musica di Takemitsu, rappresentato per la prima volta nel maggio del duemila, è il valore delle proprie radici ad essere evidenziato. Quando compone Takemitsu immagina di camminare in un bellissimo giardino in cui un fragile albero giapponese nasconde un sistema complesso di radici sotterranee. Ciò che vedi è solo una parte di ciò che c’è, tuttavia il visibile non può esistere senza l’invisibile. Con Dreamtime l’invisibile diventa parte determinante del visibile ed è anche più importante di esso. Un balletto in cui, guardando indietro come spettatore, non sai se lo hai visto o sognato. Dreamtime ci racconta di sentimenti che non vengono definiti con precisione, quasi evanescenti. Per gli aborigeni sognare non è come per gli occidentali. La performance è ispirata indirettamente alla loro vita, a tutto ciò che fanno, è un flusso eterno e continuo di sogni, diretto e mantenuto da ogni sorta di rituali in cui la danza gioca un ruolo importante. In Romeo e Giulietta acquista grande l’intensità la tematica dell’amore. Shakespeare era l’ideale di Berlioz. Quando Berlioz sposò l’attrice shakespeariana Harriet Smithson nel 1833 gli sarebbe piaciuto vedere loro stessi come “Romeo e Giulietta.” Berlioz è riuscito a rappresentare un grande affresco nel suo complesso senza prestare molta attenzione ai dettagli secondari dell’opera, e il suo spirito è stato catturato e ricreato più profondamente che in qualsiasi altra opera musicale che trattasse questo particolare tema. Il balletto si ispira alle dinamiche che l’amore e l’odio intrecciano in una sorta di labirinto, srotolando la pergamena di una storia che è diventata un mito, in una squisita sintesi in cui si fondono il romanticismo spensierato di Berlioz e la magia e la tragedia di Shakespeare. Esattamente cinquant’anni dopo il debutto parigino dei Ballet Russes di Diaghilev, il coreografo francese Maurice Béjart ha presentato la sua avanguardistica versione de La Sagra della primavera a Bruxelles nel 1959, scioccando il pubblico per la sensualità selvaggia e il dinamismo rituale della rappresentazione. Il successo che ne derivò portò Béjart a dare il nome appropriato alla sua compagnia, Les Ballets du XXeme siècle “La primavera è qualcosa di più di quella immensa forza primitiva nascosta sotto l’orologio dell’inverno, per emergere improvvisamente e salutare il mondo in tutte le sue forme, vegetali, animali o umane”, spiega Béjart. La dimensione fisica tra esseri umani simboleggia l’atto stesso con il quale il creatore ha dato vita al cosmo e la gioia che ne è derivata. In un momento storico in cui diventa possibile iniziare a parlare di una cultura che rifiuta i suoi limiti, solo le forze universali ed essenziali dell’uomo rimangono inalterate nel tempo e in ogni società. Questo balletto rappresenta quindi un inno all’unione tra uomo e donna, al livello più istintivo ed essenziale che lo anima, celebrazione della complementarietà tra cielo e terra, della vita e della morte, dei loro cicli eterni.
Rossella Cea
Pubblicato il 20 Novembre 2024