Cultura e Spettacoli

La Grava delle chovas

 

Nelle campagne di Ostuni esiste Contrada Grava di Ciole, dove sorge anche l’omonima masseria. Quale l’origine di questo toponimo? Premesso che a ‘ciola’ corrispondono sia un cognome abbastanza diffuso nell’ostunese che una frazione del comune di Mercato Saraceno in provincia di Forlì-Cesena, l’origine di questa parola è spagnola. ‘Chova’ equivale a gazza, corvo, taccola. Se al tempo loro quei dominatori battezzarono la contrada in oggetto accostandone il nome a quello di un corvide la ragione non può non essere ricercata che nell’insolita quantità di ‘chovas’ che frequentavano lo stesso sito. E come spiegare la presenza di chovas nel sito dove si apre una grava? Onnivori come sono, i corvidi possono trovare cibo ovunque, per cui trovando più convenienza a spaziare tra alberi, pascoli e seminati non avrebbero ragione di frequentare un inghiottitoio. Ma se per un qualche motivo lo stesso inghiottitoio si è trasformato in una riserva alimentare… E’ noto che gazze, corvi e taccola sono animali così avidi di cibo da non disdegnare gli animali morti. Dunque, se sul fondo di una grava stazionano ‘carcasse’ ciò diventa per essi motivo di attrazione. Ma, si obietterà, non così facilmente un corvo s’infila in un pertugio, vola in basso al buio, si nutre, e ancora al buio, volando in verticale ritorna in superficie. Certo. Non è detto però che quel pertugio sia così stretto e che la montagna di carcasse non si spinga sino alla sommità. Forse in quell’inghiottitoio gli abitanti della zona usavano liberarsi degli animali morti per  malattia… In passato ogni voragine fungeva da discarica. Con una leggerezza ambientale che oggi giudicheremmo criminosa, la gente in questi abissi scaricava soprattutto il materiale organico, ovvero ciò che decomponendosi infettava l’aria. Qualche volta in questi crepacci finivano anche cadaveri scomodi. E’ il caso della Grotta degli Appestati di Fasano (contrada Casaburo), così ribattezzata nel 1691 quando la locale Autorità sanitaria decise che i morti di peste venissero inumati in quella cavità sotterranea, piuttosto che nelle chiese (usanza questa che, già di per sé deprecabile, diveniva letale con una pestilenza in corso). Ancora in quel periodo (1690-1691) alla stessa crudele bisogna furono destinate anche la ‘cisterna’ della Madonna dell’Altomare di Andria e la Grotta presso la Cappella di San Gusmano nel territorio di Conversano. Chissà che  questo rudimentale costume non abbia trovato applicazione anche nella grava di Ostuni in occasione di precedenti epidemie. Davanti a quel sinistro volteggiare di corvidi gli Spagnoli dovevano essere rimasti impressionati.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 7 Luglio 2018

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