La guerra, come una spina nel fianco
Con una co-produzione Compagnia del Sole - Teatri di Bari si è aperta ‘Attraversamenti’, la stagione del Kismet

Dell’Olocausto si sapeva già mentre l’immenso eccidio era in corso. Per venire a conoscenza del massacro di Mỹ Lai, compiuto nel 1968 dai marines della 23ª Divisione di Fanteria Usa a danno di civili vietnamiti inermi, bastò un anno. Invece per sollevare il sudario sulla strage di Debre Libanos, che vide l’Italia fascista fucilare gratuitamente migliaia di appartenenti alla chiesa copta etiope tra il 21 e il 19 maggio 1937, è stato necessario oltre mezzo secolo. Perché?… In proposito ci sarebbe di che scrivere saggi. Ma sorvoliamo sulla storica pochezza del non-popolo cui apparteniamo e vediamo di gettare in lavatrice scampoli di coscienza relativi all’avventura coloniale dell’italietta sabauda cominciate, non casualmente, con la batosta di Adua del 1896 e terminate nel 1943 – ancora non casualmente – con la caduta del Fascismo. In tale esercizio di dirittura morale (che un domani – si spera non lontano – avrà per oggetto l’ipocrisia e il cinismo tricolore a proposito della tratta dei migranti) si inserisce un testo di Paolo Comentale: ‘Quando le stelle caddero nel fiume’, edito da Edizioni di Pagina nel 2018, e dedicato, appunto, alla tragedia di Debre Libanos. Un testo intrigante e perciò passato non inosservato. A sei anni dalla sua pubblicazione, previa riduzione drammaturgica di Marinella Anaclerio, quel testo è approdato in teatro. E così, per la regia di Alessandro Maggi e le interpretazioni di Flavio Albanese, Augusto Masiello ed Edoardo Epifani, ‘Quando le stelle caddero nel fiume’ (una coproduzione Compagnia del Sole – Teatri di Bari) ha inaugurato la settimana scorsa ‘Attraversamenti’, la nuova stagione del Teatro Kismet. Lo spettacolo, che era in prima assoluta, ha avuto un esordio abbastanza applaudito. Alla presenza di un muto ed impassibile scrivano in divisa, un alto ufficiale fascista sottopone ad uno stringente interrogatorio uno smarrito maresciallo marconista, testimone chiave del mistero della scomparsa di un tenente nel corso della missione segreta di Debra Libanos. Ma il maresciallo, ancora incredulo di ciò che ha visto con i propri occhi (lo sterminio dei religiosi copti), si manifesta affatto ‘collaborativo’. Nonostante la minaccia di dover rispondere di reticenza davanti alla Corte Marziale, il sottufficiale continua a ricordare poco e male… Solo alla lunga l’insistenza dell’Inquisitore viene ‘premiata’ : Compiuto il proprio dovere nella strage dei monaci, quel tenente si è immerso nell’acqua del vicino fiume ‘dimenticando’ di non saper nuotare… Il caso è chiuso. Ma il relativo rapporto viene addomesticato: Nessun suicidio, bensì morte eroica nel compimento del proprio dovere. E’ troppo per il povero maresciallo, che si tira un colpo alla testa … Una messinscena spoglia, resa anche cupa dai molti lumini disseminati in proscenio, forse la cosa migliore di un disegno luci troppo mutevole. Il ben marcato confronto fra l’arroganza coloniale (l’alto ufficiale) e l’embrione di dissidenza rappresentato dall’incredulo marconista ha l’andamento di un pendolo, avendo tale pendolo il suo centro di oscillazione nella legnosa e imperturbabile figura dello scrivano, nel quale si può vedere il consenso collettivo e silenzioso di una comunità cui sia stata scippata la capacità critica. Interpretazioni comme il faut per un esordio di significativa valenza simbolica, coincidendo con giorni – i presenti – di ‘attraversamento’ delle più deplorevoli pagine della Storia.
Italo Interesse
Pubblicato il 22 Ottobre 2024


