Cultura e Spettacoli

La guerra e i martiri di Terlizzi

A parte le migliaia di militari pugliesi caduti sui vari fronti di guerra, è un errore ritenere che la nostra terra sia stata solo sfiorata dalla seconda guerra mondiale. Non bastano i tremendi bombardamenti di Bari e Foggia del 1943 e l’infausta notte di Taranto dove tra l’11 e il 12 novembre 1940 aerosiluranti britanniche misero fuori combattimento la nostra flotta? E poi ci sono le vittime civili. La strage di Barletta del 12 settembre 1943 (i nazisti per rappresaglia fucilarono tredici uomini) è ancora viva nella memoria di numerosi anziani. Altri civili pugliesi morirono tragicamente lontano dalla loro terra. Di questi, tre erano originari di Terlizzi. Rosa Vendola (classe 1898) era una maestra d’asilo che nel 1933 si trasferì nella Slovenia allora italiana per insegnare nella scuola di Castel Dobra (oggi Brda). Risulta scomparsa nel maggio del ’45. Un attendibile dossier inserisce il nome di Rosa Vendola nell’elenco (lunghissimo) di quegli italiani che gli jugoslavi gettarono forse vivi nelle foibe. Gioacchino Gesmundo (1908) fu un altro insegnante ; particolare curioso, sua madre si chiamava Raffaella Vendola. Da sempre antifascista, durante l’occupazione nazista fece della sua casa la redazione, ovviamente clandestina, de L’Unità e l’arsenale dei Gruppi di Azione Patriottica. Venne arrestato a gennaio del ’44 e tradotto nelle carceri di via Tasso. Vi rimase sino al 24 marzo dello stesso anno, giorno in cui, incluso nella lista degli ostaggi, morì alle Fosse Ardeatine. Infine Don Pietro Pappagallo (1888). Giunto a Roma nel 1925 ricoprì diverse cariche ecclesiastiche. Durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed Alleati in fuga, dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi. Tradito, fu consegnato ai tedeschi. Anch’egli morì alle Fosse Ardeatine. Il religioso pugliese è stato decorato al merito civile. A Roma gli hanno intitolato una sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Una lapide lo ricorda sulla facciata della casa di via Urbano dove abitò. Il suo nome è stato inserito da Papa Giovanni Paolo II tra quelli dei Martiri della Chiesa del XX secolo. Si vuole che il personaggio di Don Pietro, il sacerdote protagonista di ‘Roma città aperta’, il celeberrimo film di Rossellini, sia ispirato a Don Pietro Pappagallo. In realtà il punto di riferimento per Rossellini fu altro religioso :  Don Giuseppe Morosini. Quest’ultimo, nato a Ferentino nel 1913 e già cappellano militare in Croazia nel 1941, all’indomani dell’8 settembre era entrato nella Resistenza. Tradito da un delatore, venne incarcerato a Regina Coeli e sottoposto a pesanti sevizie. Ma non tradì alcuno. Condannato a morte, fu fucilato il 3 aprile ’44. All’ordine di ‘fuoco!’, dieci dei dodici componenti del plotone, che era composto da militari italiani, spararono in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri due, l’eroico sacerdote venne finito con due colpi alla nuca dall’ufficiale fascista che comandava il plotone.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 13 Settembre 2013

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