Cultura e Spettacoli

La mostra di arti e tradizioni popolari pugliesi del 1938

Lo studio delle arti e delle tradizioni popolari in genere e l’interesse per la valorizzazione del patrimonio etnico e artistico delle tradizioni locali, si sviluppò all’interno della cosiddetta “dottrina popolare” ovvero lo studio delle arti e dei documenti, espressione delle peculiari attitudini artistiche delle differenti regioni d’Italia. In tale ambito,  il 14 maggio del 1938, fu inaugurata dall’Opera Nazionale Dopolavoro la “Mostra Etnografica pugliese” organizzata in collaborazione con il Dopolavoro provinciale di Bari sotto gli auspici dell’Ente per il Turismo. All’interno di questa mostra furono esposti i costumi del XVIII e XIX secolo di Monte S. Angelo,  della Murgia, del Gargano, di S. Giovanni Rotondo, e del Salento. Le ceramiche di Grottaglie, di Laterza, di Martina, i tessuti di Altamura, le coperte di Alberobello, di Putignano e di Nardò, le utensilerie di Gravina, i filati di Lecce. Come ha ricordato anche il Prof. Luigi Lombardo dell’università di Catania nel suo scritto “L’etnografia in età fascista” : <<La scienza demologica è stata, e in parte è ancora oggi, una di quelle discipline che vedono coinvolti, accanto agli “addetti ai lavori”, tutta una schiera di ricercatori, studiosi, appassionati cultori di folklore impegnati nella (ri)scoperta delle proprie radici, delle tradizioni culturali legate al paese, città, comunità, in un fiorire di studi di storia locale, che combinano storia, arte, folklore in una produzione bibliografica, il più delle volte utile a salvaguardare dall’oblìo importanti residui folklorici tradizionali>>. Tale tendenza si può fare risalire in Italia alla fine dell’Ottocento, che vide tra le tante cose, la nascita della “Società nazionale per le tradizioni popolari italiane”, costituita nel 1893 sotto il patrocinio della monarchia. La società contava 800 soci in tutta Italia e produsse per alcuni anni la “Rivista delle Tradizioni popolari”. Venuta meno la “Società” fu sostituita, nel perseguimento dei medesimi fini, dalla “Società di etnografia italiana”, che organizzò l’Esposizione del 1911 e il primo Congresso di Etnografia. La Società curava la pubblicazione della prestigiosa rivista “Lares” prima serie. La prima guerra mondiale e la scomparsa di eminenti studiosi come il Loria, portarono alla chiusura della Società e della rivista. Il merito di queste prime iniziative nazionali fu quello di formare una classe di “professionisti”, di “educare quella massa di dilettanti” secondo criteri di ricerca uniformi. Il Fascismo, una volta consolidato il proprio potere, si occupò anche della cultura popolare o meglio delle “Tradizioni popolari”, come ci si esprimeva allora, prima in modo assai blando attraverso organismi non organici al potere, poi più decisamente attraverso l’azione di strutture organizzative a carattere ricreativo quali l’Opera Nazionale Dopolavoro. Gli studiosi, provenienti da basi ideologiche prefasciste, si muovevano liberamente all’interno di queste strutture culturali, quale fu il Comitato Nazionale per le Tradizioni Popolari (CNTP), presieduto da Paolo Emilio Pavolini, che ebbe il grande merito di promuovere congressi, e soprattutto mostre ed esposizioni su tutto il territorio nazionale. Ma le intenzioni messe in campo da questo Comitato non erano suffragate da un appoggio statale in termini di finanziamenti, che il governo fascista rivolgeva in maniera sempre più massiccia in favore dell’Opera Nazionale Dopolavoro (da qui in avanti O.N.D.), che già a partire dal 1927 aveva promosso tutta una attività folkloristica ramificata sul territorio. Lo slogan lanciato dal direttore dell’O.N.D. fu il «ritorno alle tradizioni>>. Lo strumento diretto di cui si servì sul piano scientifico l’O.N.D. fu la Commissione Nazionale per le Arti Popolari (CNIAP), all’interno della Commissione Nazionale di Cooperazione Intellettuale (CNICI), a sua volta legata alla Società delle Nazioni, e istituita nel 1929. Le due istituzioni culturali operanti nel campo folklorico, cioè il Comitato operante a Firenze, attorno alla rivista Lares, e la Commissione operante a Roma, sotto la spinta governativa si fusero nel 1932. La rinata CNIAP fu così inquadrata più strettamente e organicamente in seno all’O.N.D. Le tante mostre d’arte popolare promosse in modo massiccio dal 1936 su tutto il territorio nazionale, illustravano la vita del popolo italiano nella sua quotidianità, contribuendo alla conservazione di oggetti in via di estinzione, e fungendo da incentivo per le industrie locali, come si poteva leggere nelle missive mandate ai Prefetti per incentivare le iniziative. Le mostre provinciali e interprovinciali, che si sarebbero tenute in tutt’Italia, furono annunziate dal discorso programmatico del presidente della Commissione internazionale per le arti popolari Emilio Bodrero al IV Congresso di studi romani, tenutosi a Roma nell’ottobre del 1935. Egli delineò con precisione le linee guida delle future mostre etnografiche del 1936, i metodi di raccolta dei materiali e dell’allestimento delle mostre. Veniva prevista la costituzione in ogni capoluogo di provincia di un sottocomitato di tre persone: un rappresentante dell’O.N.D., il direttore del Museo locale e un “artista” cultore della materia. I sottocomitati si avvalevano del supporto dell’O.N.D., dell’Ente turismo e dell’Ente dell’artigianato che agivano nel territorio.  Tra le maggiori manifestazioni promosse nel meridione, oltre alla campionaria pugliese, ricordiamo: la“Mostra provinciale d’arte popolare” di Siracusa  (maggio 1936) e la “Mostra interprovinciale di Arti popolari siciliane” di Catania (ottobre-novembre 1936). L’errore maggiore però fu che degli oggetti, così amorevolmente raccolti, non si conservò che una minima parte, che fu inviata al Museo di Arti e tradizioni popolari di Roma.

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 18 Ottobre 2018

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