La ‘nuova beltade’ di Luigia accecò il Foscolo
Nella scuola del passato l’insegnamento della letteratura era all’insegna del più ottuso nozionismo. Agli alunni non si chiedeva di ‘capire’ un Autore, ma di ricordarne ‘cose’ : luoghi e date di nascita e morte, elenco delle opere scritte, aneddoti, curiosità… Erano gli anni delle poesie e di stralci di prosa mandati a memoria più per fare sfoggio un domani di citazioni che per rafforzare l’elemento mnemonico. Sicché, soprattutto all’orale, erano guai quando si ignorava che la moglie del Manzoni era figlia di Cesare Beccaria, che Folcacchiero dei Folcacchieri nacque in Toscana, che Dante fu guelfo bianco e non nero, che il mandante dell’assassino del padre di Giovanni Pascoli si chiamava Pietro Cacciaguerra… Allo stesso modo, guai all’infelice che fosse a digiuno dell’esistenza delle ‘Epistole al fratello Quinto’ (Cicerone), che non ricordasse chi (l’Alfieri) coniò il motto ‘volli, sempre volli, fortissimamente volli’, oppure che tacesse alla domanda : Chi fu Luigia Pallavicini ? Sarà il caso, oggi, nel 250° anniversario della nascita (avvenuta a Genova!), di occuparsi di questa nobildonna che per bellezza, cultura e natali fu la regina incontrastata dei salotti del suo tempo. Amazzone provetta, la Pallavicini, all’età di ventotto anni, il 30 giugno 1799, volle unirsi a una decina di cavalieri, forse ufficiali cisalpini, per una sgroppata oltre le mura della città. Finché il gruppo percorse la città, tutto andò bene, l’animale cavalcato dalla nobildonna sembrava obbediente. Ma appena raggiunto il “Deserto di Sestri”, una vasta pianura in riva al mare, il cavallo della Pallavicini, cominciò a dare di matto. Dopo aver provato, inutilmente, a disarcionare l’amazzone, si lanciò in un galoppo sfrenato. Visto il pericolo, la Pallavicini prese rapidamente la decisione di mollare la cintura che la assicurava alla sella e di gettarsi a terra là doveva aveva individuato un tappeto erboso. Ma calcolando male i tempi rovinò su un sentiero ghiaioso battendo col volto sullo spigolo di una pietra. Ne uscì viva ma sfigurata, tanto che da quel giorno dovette occultare con un velo nero la guancia sfregiata. Per paradosso, l’uso di quel velo che la rendeva più misteriosa e la memoria collettiva della sua avvenenza accesero l’ammirazione intorno a lei. Al suo ‘rinnovato’ fascino non restarono insensibili i poeti. Tra questi si distinse Ugo Foscolo, autore di un’ode mai riportata sulle antologie scolastiche ma il cui titolo era d’obbligo tenere a mente: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo”. L’ode del poeta di Zante si apre con l’augurio che “I balsami beati / per te le Grazie apprestino… fra le dive liguri / regina e diva”. Segue una tiratina d’orecchie : Perché “incauta” la nobildonna seguiva “i ludi aspri di Marte?”. Ed eccola ridotta a “spiar ne’ guardi medici /speranza lusinghiera / della beltà primiera”, intanto che “gioìvan d’invido riso / le abitatrici olimpie”. Ma pronto è il castigo per queste miserabili, le quali “ben piansero” il giorno del ritorno in società di Luigia Pallavicini poiché “”al ciel salia più bella / di Febo la sorella”.
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Gennaio 2022