Cultura e Spettacoli

La palla di cannone volò tra i danzatori

A Pescara c’è via Conte di Ruvo, in fondo alla quale si allarga piazza Alessandrini, dove, di fronte al Tribunale, si leva un monumento. La stele raffigura due uomini in divisa : Gabriele Manthoné e Ettore Carafa. Entrambi furono giustiziati a Napoli nel settembre del 1799, dopo che un Tribunale Straordinario li aveva dichiarati rei di delitti contro lo Stato, poiché alti esponenti della Repubblica Partenopea. Erano coetanei, il primo essendo nato a Pescara 23 ottobre 1764, il secondo a Ruvo di Puglia il 29 dicembre 1767, per cui ricorre oggi il 253esimo anniversario della nascita. Manthoné fu catturato dai Sanfedisti mentre tentava di ostacolarne l’arrivo nella capitale, che egli aveva incarico di difendere. Carafa invece presidiava la fortezza di Pescara quando questa il 25 maggio del ’99 veniva messa sotto assedio da forze rimaste fedeli al Borbone e dai soliti Sanfedisti. L’assedio durò ben due mesi, nel corso dei quali il Carafa si adoperò in tutti i modi per tenere alto il morale degli uomini a sé più vicini. Una sera, riferisce Raffaele Finoia nel suo ‘Ettore Carafa, conte di Ruvo. Relazione del suo cameriere’, (ed. B. Maresca – Napoli 1885), aveva organizzato una festa da ballo. Durante il ricevimento “una palla di cannone entrò per un balcone nella sala dove si ballava nel mezzo dei danzatori, che facevano una controdanza inglese, e la palla traversò le due file della controdanza, ruppe il muro opposto e passò nella stanza contigua”. Si dice che, superato l’iniziale smarrimento, il Conte ordinasse all’orchestra di ricominciare il motivo dall’inizio. Un aneddoto, certamente, almeno per quanto riguarda la ripresa delle danze. Di aneddoti è ricca la vita del Carafa. Si racconta che il giorno della sua nascita un prezioso marmo che ornava un camino della fastosa dimora di famiglia ad Andria, andasse inspiegabilmente in frantumi ; l’episodio venne interpretato dalla servitù come segno infausto (vox populi…). Quando trentadue anni dopo fu il momento di passare a miglior vita Ettore Carafa diede prova di grande coraggio : una volta davanti al boia, tale Tommaso Paradiso (nomen omen?), il nobiluomo andriese si spogliò da solo della giacca della divisa di Colonnello della Repubblica, respinse la benda e, supino, posò il capo sul ceppo al fine di guardare in faccia la Morte prima di pronunciare le seguenti parole “Dirai alla tua regina come seppe morire Ettore Carafa”. Parole che, riferite in seguito a Ferdinando IV, furono dal re commentate così : “Il duchino ha fatto il guappo fino all’ultimo”. E’invece storia documentata – riporta Giuseppe Quieti nel suo ‘Il Conte di Ruvo (Carabba Editore, 2006) – che l’esecuzione costò complessivamente15 ducati e 62 grani, di cui 6 ducati andarono al boia, 3 al suo aiutante ; il resto se ne andò per la costruzione del patibolo.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 29 Dicembre 2020

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