Cronaca

La scuola pugliese tra dispersione e disagi burocratici

L’anno scolastico 2016-2017 non è ancora iniziato ma i presupposti per la riapertura delle scuole non sembrano dei migliori. In questi giorni, infatti, si sono registrate le prime proteste dei professori a rischio trasferimento e dei genitori che attendono ancora i contributi regionali per le iscrizioni dei propri figli nelle scuole private paritarie; per non parlare dei dati, tutt’altro che rassicuranti, sulla dispersione scolastica in Puglia. I primi disagi si sono registrati sotto la sede dell’Ufficio scolastico regionale dove si sono dati appuntamento i rappresentanti dei quattromila docenti pugliesi neoassunti con la Riforma della “Buona Scuola” a rischio trasferta forzata. Al grido di <> e con un nastrino rosso legato ai polsi (come simbolo di amore e attaccamento alla propria terra) anche quest’anno  sperano in un piano straordinario di supplenze come quello messo a punto lo scorso anno dall’USR in modo da evitare  l’esodo verso nord che per ora non è stato del tutto scongiurato. Protestano anche i genitori in attesa di ricevere i buoni di conciliazione con i quali la Regione Puglia sostiene le famiglie che iscrivono i bimbi agli asili nido privati e paritari, rimborsando fino al 95% della retta. Una scelta spesso obbligata quella del privato -spiegano le famiglie- vista l’insufficienza di posti nelle strutture comunali.  La Regione ha spiegato che i 15 milioni di euro previsti dal Fondo sociale europeo ci sono e saranno stanziati non appena sarà nominato il nuovo dirigente al Welfare, ma in attesa dei contributi pubblici i genitori hanno dovuto disdire le iscrizioni dei propri figli a scuola. Per accedere all’integrazione della retta occorre il reddito Isee inferiore ai 40.000 euro e almeno uno dei genitori occupato. A Bari, nonostante l’incremento di 100 posti in più in due nuove strutture comunali, quest’anno rimarranno fuori  ben 120 bambini dalle graduatorie quindi rivolgersi ai privati rimane l’unica soluzione possibile. Il dato peggiore però viene registrato in termini di abbandono della scuola ovvero quel fenomeno di fuoriuscita non motivata dal sistema scolastico senza la garanzia di un rientro da parte dello studente negli anni successivi. La Regione Puglia ha raggiunto il tasso di dispersione scolastica pari al 23,9% (Fonte MIUR) mentre il 27,6% dei giovani pugliesi tra i 18-24 anni è in possesso solo della licenza media. La Puglia, quindi, risulta la terz’ultima regione italiana con il più alto grado di dispersione, dopo solo Sardegna e Sicilia. In Italia il tasso di dispersione si attesta al 20,6% mentre in Europa è del 16%. Le regioni del meridione sono le più colpite con oltre 79 mila ragazzi dispersi a scuola pari al 66% del totale nazionale.  I dati evidenziano anche differenze di genere: la dispersione scolastica interessa più i maschi (20%) delle femmine (13%). Un altro dato che emerge riguarda gli studenti stranieri che risultano più colpiti rispetto ai coetanei italiani: in molti Paesi europei infatti gli studenti nati all’estero che abbandonano precocemente i percorsi di istruzione e formazione costituiscono la maggioranza di chi abbandona. I tassi sono particolarmente alti in Grecia, Spagna ed Italia dove il tasso di abbandono da parte degli studenti stranieri (35%) è più del doppio di quelli italiani (15%) . Questi dati portano con sé costi sociali, politici ed economici molto alti. I ragazzi che lasciano la scuola, spiega l’Unione Europea, “Sono più soggetti alla disoccupazione, hanno bisogno di più sussidi sociali e sono ad alto rischio di esclusione sociale con conseguenze sul benessere e sulla salute. Inoltre tendono a partecipare meno ai processi democratici”. Inoltre l’abbandono scolastico vanifica il lavoro dei professori impiegati e quindi oltre 503 milioni di euro pubblici l’anno vengono sprecati senza ottenere alcun risultato. Inoltre molti dispersi entrano a far parte della categoria dei giovani che non studiano e non lavorano (circa il 24% dei ragazzi tra i 15-29 anni): un costo enorme sull’economia stimato a 32,5 miliardi l’anno da Confindustria ovvero se i giovani inattivi entrassero nel sistema produttivo il prodotto interno lordo italiano salirebbe del 2%. Il problema sarebbe poi capire di quale sistema produttivo parliamo vista la crisi della produttività e del lavoro che perdura da anni in Italia, a causa della fortissima pressione fiscale,  che sta uccidendo il mercato. Ma questa è un’altra storia…

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 27 Luglio 2016

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