La teca di cristallo
Dopo aver per lungo tempo seminato versi fra antologie e riviste, Giulia Notarangelo supera una certa ritrosia e dà alle stampe il suo primo libro di poesie. Edito da Tabula Fati, ‘La teca di cristallo’ raccoglie 65 brevi liriche divise in tre sezioni nelle quali l’autrice osserva e si osserva con incanto e applicazione (allo stesso modo di Narciso alla fonte, soggetto che nell’interpretazione di Caravaggio illustra la copertina). Da tale doppio esercizio di attenzione scaturisce una parola avara, lapidaria e affatto fluente che sembra gocciolare dalle rughe del cuore. In ‘La teca di cristallo’ il vissuto bussa pesantemente e veste il senso dell’irrecuperabile di un colore lancinante. E’ il mare il trait-d’union fra nostalgie diverse, questo mare talvolta “sonnacchioso” e grande amico di gabbiani “immobili come biglie” in “obliquo bivacco” sul “tappeto verde muschio” di alghe rinsecchite. E non poteva essere che il mare, visto che l’autrice, nata a Bari, ha vissuto a lungo a Palese, dove si è consumata nell’amata-odiata “trincea” della scuola . Sull’asse che lega i due centri si sviluppa un lacerante arrovellarsi a proposito di “ombre mai dimenticate” : “Dove sono quel dare e quell’avere inconsapevoli ?”, e chissà che fine hanno fatto “quel” sole, gli alunni “che scalciavano nell’attesa della campana”, le signore delle ville accanto “dal saluto puntuale e sorridente”, i fichi d’india “sporgenti dai muretti delle ville estive abbandonate”, un piccolo lido “bianco e azzurro” dove un padre così rimpianto teneva in braccio la sua bambina… Dove sono? Da qualche parte sono. Ma ‘cristallizzati’ e pronti a ‘ripartire’ a comando, a condizione di disporre della famosa macchina immaginata da Adolfo Bioy Casares in ‘L’invenzione di Morel’, un marchingegno che a differenza della macchina del tempo di Wells non restituisce i viaggiatori al passato ma li mette di fronte a ‘tangibili’ riproduzioni di realtà vissute, con cui però non è dato interferire. A stemperare il magone in mezzo a “inevitabili capriole del pensiero” provvedono germogli di speranza simili a “feritoie nel castello di nebbia”. Per quanto “soldati in libera uscita “, questi “umani sonnolenti”, “pedine di un gioco inaccessibile e non voluto”, “tiepidi comprimari di un teatrino consunto” possono sempre confidare in “zattere inaspettate”. Resta da spiegare un’ultima cosa, il titolo dato alla silloge. Se la scelta iconografica di copertina può, come già detto, trovare una ragione nel bisogno dell’autrice di osservare e osservarsi, meno facile è giustificare il senso di una ‘teca di cristallo’. Cosa l’autrice vuole mettere in sicurezza?
Italo Interesse
Pubblicato il 29 Gennaio 2016