Si è chiuso domenica scorsa nella Masseria Carrara, un centro del WWF posto fra Bari e Modugno, ‘Filecenza! libri sotto gli alberi’, un delicato e brillante festival di letteratura pensato e diretto da Andrea Cramarossa. La presente edizione, la quarta, era dedicata alla poesia. E versi in quantità sono stati letti, per poi diventare oggetto di conversazione e dibattito, all’ombra di due ulivi frondosi nella brezza di una domenica soleggiata. Un contesto ideale per apprezzare la parola di Francesco Lorusso, Maurizio Evagelista, Mario Pennelli, Bartolomeo Smaldone e Teodora Mastrototaro. Del primo e dell’ultima partecipante le cose migliori, due autori curiosamente vicini nell’urgenza di partecipare lo stesso disagio ma poi così lontani nell’espressione di tale urgenza. ‘L’ufficio del personale’, una silloge di Francesco Lorusso edita di recente da La Vita Felice Edizioni, raccoglie 57 poesie distinte in tre sezioni. Tra spunti lirici anche brillanti, Lorusso, scocca frecciate all’indirizzo di un Sistema inesorabile che macina unità di produzione e consumo nel disegno di un benessere epidermico, ipocrita e omologato. In un clima da nausea ‘sartriana’ l’Autore vede la stessa parola arrendersi e l’amore ingrigire fra “macerie di giorni / e polvere di sogni”. Il presente è il silenzio di un crepuscolo in bianco e nero consumato in solitudine, intanto che “ogni giorno si staccano speranze dalla pelle” e “ognuno viene inghiottito solo a tempo dovuto”. Per sopravvivere non resta che “un ridere sottoterra” ; diversamente, la stupidità della creazione, i falsi della storia e lo spettacolo spaventevole della piramide sociale non ispirerebbero che il celebre urlo di Munch… Con spirito diverso, invece, Teodora Mastrototaro lancia il suo J’Accuse. ‘A pelle è figlio di Apollo’ è un testo scritto e interpretato dalla stessa Mastrototaro (coadiuvata da Francesca Pastore, Daniele Vergni e Germano Lemma) che arriva come un colpo di mannaia. Gesti e parole sono affilati, la luce è avara, i toni sospesi tra il grottesco e l’efferato. Un fascino torbido si sprigiona da questo lavoro allucinato e apertamente scabro, che sa di carne trita e che si avvoltola nel macabro. Ma l’adulare la decomposizione non è qui sterile omaggio a Lovecraft, bensì denuncia accorata di una cultura della sopraffazione che non risparmia nemmeno il rapporto genitore-figlio. Cultura che è figlia dello stesso marcio Sistema che a suo modo Lorusso fustiga. L’impeto della Mastrototaro (che si muove con inaspettata disinvoltura) deborda un po’, ma dopotutto siamo alla prima di uno studio. Ci sono in abbondanza tempo e risorse per arrivare ad uno spettacolo che lasci il segno come un colpo d’artiglio.
Italo Interesse
Pubblicato il 30 Settembre 2015
