Cultura e Spettacoli

La terra dei padri gronda sangue

Standing ovation al Teatro Piccinni per l'ultima replica di un lavoro di Marco Lorenzi che ha messo in scena un testo di Wajdi Mouawad

A fine spettacolo tutti in piedi ad applaudire. Si è chiuso così, domenica scorsa al Piccinni, l’ultimo appuntamento con ‘Come gli uccelli’. Incentrato sul tema del conflitto arabo-israeliano, il lavoro di Marco Lorenzi, che si ispira all’omonimo romanzo di Wajdi Mouawad, ha facilmente toccato le corde più sensibili della platea. Merito di una storia ‘forte’, cui corrisponde una messa in scena ruvida e scarna, dominata dalla riproduzione di un vasto muro sul quale, didascalicamente, si proiettano schegge del testo o brevi annotazioni ambientali. Sembra il Muro del Pianto di Gerusalemme, sembra uno di quei prefabbricati in cemento armato con cui Israele sta blindando il confine con la nazione palestinese (lo stesso genere di cattiva architettura che divideva in due Berlino e che oggi ribadisce la frontiera fra USA e Messico). Intorno a questo modulo arido e anonimo, si muove la sofferta storia d’amore sbocciata in una biblioteca di New York fra un giovane tedesco di origine israeliana e una giovane americana di origini palestinesi. Al pari di Romeo e Giulietta, Eitan e Wahida dovranno dire ‘no’ al loro sogno d’amore. E ancora al pari dei due sfortunati innamorati veronesi dovranno contentarsi con la loro rinuncia di fare da monito alle storture di un sistema di cose incancrenito. Lavoro a basso contenuto tasso di spettacolarità, tuttavia interpretato e diretto con vigore, ‘Come gli uccelli’ grida senza fronzoli ciò che la Storia insegna da millenni : La Verità paga di rado, sempre poco, sempre in ritardo. Ma paga. Un lavoro di faticosa fruizione (anche per la lunghezza eccessiva), ma che giunge opportuno ed edificante, ben più diretto del solito fiume di parole alimentato da osservatori, studiosi, analisti, opinionisti… Prossimo appuntamento per la stagione ‘Altri mondi’, sabato 26 e domenica 27 aprile con ‘La buona novella’. Sarà Neri Marcorè il protagonista dello spettacolo di Fabrizio De Andrè pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni del cantautore genovese con stralci evangelici. Data la sua notorietà, il lavoro non abbisogna di presentazioni, è comunque interessante rileggere cosa scrisse lo stesso Autore a proposito di quest’opera. «Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell’accostarsi all’argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant’è vero che ancora oggi proprio il mondo dell’Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell’Islam. L’Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate.»

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Aprile 2025

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio