Cultura e Spettacoli

La vita convulsa degli iraniani

 
Il film “Una separazione” del regista iraniano Asghar Farhadi, come dice il titolo, parte da una vicenda privata (la crisi di un matrimonio) per poi allargarsi a una realtà, politica e sociale, più ampia. Questo interesse, non solo psicologico ma anche politico-sociale, si estrinseca attraverso uno stile di ripresa convulso: i personaggi vengono braccati con riprese ravvicinate, dal taglio documentaristico, che esaltano ora questo ora quell’aspetto dell’opera. La trama è letteralmente immersa nel traffico frenetico e convulso di Teheran dove i problemi di circolazione si estendono dalle strade al chiuso degli appartamenti. Come la circolazione è caotica così la comunicazione tra le persone si manifesta, a sua volta, intasata e problematica. In un intreccio tra descrizione di una società e indagine su alcune realtà familiari, il regista ci fa toccare con mano tutta una serie di problematiche: la cura degli anziani affetti da malattie neurologiche degenerative (con l’annesso problema delle badanti), il conflitto tra classi medie e classi svantaggiate (il discrimine è la disoccupazione e la tracotanza di chi ha un lavoro), i problemi della giustizia (troppo burocratizzata e spicciativa), i vincoli religiosi (il permesso che la badante deve chiedere a un ufficio preposto se può accudire un uomo che si è orinato addosso). Il tutto viene filtrato dai comportamenti e dalle aspettative dei diversi membri delle due famiglie protagoniste. Questa pluralità dello sguardo viene a sua volta sopraffatto dal quieto stupore dell’anziano malato di Alzheimer che assiste stranito e impotente al carosello che si srotola davanti ai suoi occhi. E’ lui a innescare i drammi familiari (la separazione, l’aborto, le crisi di coscienza), è lui, pure, a garantire, con quegli occhi muti, un senso di paradossale serenità a una realtà parossistica e magmatica. L’anziano, nella sua reclusione,’grida’ una protesta e chiede rispetto. Queste tremende realtà vengono incarnate da attori eccellenti (alcuni dei quali premiati a Berlino): segnaliamo Leila Hatami (rassomigliante alla Fenech), rappresentante della modernità e della insofferenza della donna borghese iraniana, desiderosa di evasione (è la sua richiesta di espatriare a determinare, tra l’altro, lo scombussolamento della propria famiglia).

Gaetano D’Elia


Pubblicato il 14 Novembre 2011

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