L’abisso e l’incredulità
Per chi s’ammala gravemente l’attesa della fine è occasione per riflettere – e con una profondità sino a quel momento mai sperimentata – sul valore del proprio vissuto e della vita in genere. Le conclusioni a cui si può giungere possono essere traumatizzanti : si può scoprire d’aver vissuto male (pur avendo creduto sempre il contrario) oppure di non aver vissuto affatto. In ‘La morte di Ivan Il’Ic’ Tolstoj prova a raccontare questo sconforto stupito e senza rimedio. Affrontando un’altra delle sue sfide, Paolo Panaro mette in scena quel lungo racconto. La fa dando vita ad una delle sue più brillanti interpretazioni. Un successo cui si può credere abbia contribuito anche la raggiunta maturità di uomo, prim’ancora che d’artista. Vero è pure che non serve incanutirsi o divenire prematuramente malandati per confrontarsi con la madre di tutti gli interrogativi. L’animo gentile e a suo modo curioso arriva presto a interrogarsi sul ‘dopo’. Ciò affina la sensibilità, sposta la visuale sul prossimo e sulla vita, senza per questo infondere incupimento o mettere fine alla speranza. Al più apportando un mutamento nel ‘colore’ personale dell’essere e dell’interazione col prossimo. Non si può escludere, poi, che la prematura e recentissima scomparsa di Ketty Volpe, la talentosa e sfortunata attrice barese di cui Panaro fu compagno di corso e grande amico, qui abbia lasciato il segno. Diversamente (forse) l’interpretazione di Panaro non avrebbe raggiunto questa cifra così definita, rotonda, esclamativa. Paolo Panaro che sembra prendere personalmente parte a una vicenda che in fondo resta immaginaria, gioca molto sulle sfumature, del gesto come della voce (quanta musicalità), studia i tempi con cura alchemica, conferisce allo spettacolo tinte delicatamente cangianti come quello del cielo nelle giornate terse e all’approssimarsi del tramonto, quando il chiarore caldo all’orizzonte, salendo, cede gradatamente spazio a colori tiepidi, infine freddi. Nella parte iniziale, infatti, racconta – e con maggior ironia di quanta ne metta Tolstoj – il grigiore della vita di Ivan Il’Ic, questo magistrato cui l’esercizio della Giustizia non basta a depurarlo della buccia meschina. In seguito, all’aggravarsi del protagonista, il brio si volta in un sentimento nuovo, di inquietudine, di stupore, quindi d’incredulità, infine di arrendevolezza. Mai di terrore. Sintomatica di questa involuzione, o evoluzione se si vuole, la reazione del pubblico : inizialmente divertito, via via più raccolto e silenzioso a misura che la voce dell’interprete si abbassava sullo spegnersi di Ivan Il’Ic. – Prossimo appuntamento della stagione ‘Le direzioni del racconto’, domani, sabato 16 dicembre, ancora alla Vallisa con Roberto Herlitzka che presenterà ‘Lectura Dantis’ da La Divina Commedia.
Italo Interesse
Pubblicato il 15 Dicembre 2017