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Lacarra non si dimette da segretario del Pd pugliese

Il segretario del Pd pugliese, Marco Lacarra, forse non è affatto intenzionato a dimettersi dall’incarico neppure ora che il rischio di scioglimento anticipate delle Camere ed il conseguente ritorno al voto sembrano sventati dalla formazione di un governo “giallo-verde”. Però, il gruppo dei consiglieri regionali del Pd, che già all’indomani dell’esito elettorale delle politiche del 4 marzo scorso avrebbe voluto la sua destituzione da segretario, ora ha deciso all’unanimità (mancavano solo i “renziani” Sergio Blasi e Ruggiero Mennea, assenti per motivi personali ma probabilmente anch’essi consenzienti) di chiedere formalmente le dimissioni del neodeputato dal vertice pugliese del partito. Dimissioni su cui sarebbe d’accordo, quindi, anche la subentrata a Lacarra in Consiglio regionale, Anita Maurodinoia, che da primo dei non eletti nel 2015 della lista barese del Pd ha beneficiato del seggio nell’aula di via Capruzzi proprio grazie all’elezione, nelle recenti politiche, di Lacarra a Montecitorio. Circostanza, questa, che lascerebbe presumere che sulla richiesta di dimissioni di Lacarra apparentemente è consenziente anche il governatore Michele Emiliano, che nel maggio del 2016 (benché si professasse di area renziana, come il sindaco di Bari, Antonio Decaro) lo aveva comunque voluto e sostenuto a suo successore in quell’incarico. Infatti, secondo quanto è dato sapere, all’incontro del gruppo Pd in cui si è discusso di formalizzare le dimissioni di Lacarra da segretario regionale del partito è stato presente anche il presidente Emiliano, che ha avallato la decisione emersa dalla discussione con tutti i consiglieri presenti. Decisione che – stante a notizie di stampa –  a Lacarra, anziché essere comunicata attraverso un documento politico sottoscritto dai componenti il gruppo consiliare ed inoltrata alla direzione regionale del partito, gli sarebbe stata invece “notificata” a mezzo stampa. Quasi a voler dire al segretario: “Noi vorremmo che fossi tu a dimetterti. Però, se non lo fai, allora saremo noi a prendere l’iniziativa di autoconvocare l’Assemblea pugliese per sfiduciarti”. Un modo di fare, questo, alquanto “delicato” e “levantino” che neppure la vecchia Dc aveva l’usanza di adottare quando il partito si ritrovava in una condizione disastrosa, come quella in cui è finito il Pd pugliese sotto la guida di Lacarra.  E ciò che più sorprende alcuni addetti a lavori della politica, ma anche molti comuni cittadini e militanti di questo partito, è che per giustificare il “licenziamento” di Lacarra da segretario lo si spieghi con la necessità di sollevare dai incarichi di segretari coloro che sono stati eletti in parlamento. Situazione, quest’ultima, che interesserebbe anche il segretario provinciale del Pd di Bari, Ubaldo Pagano, ultimamente eletto – come è noto – deputato in un collegio plurinominale del tarantino. E Pagano è dichiaratamente “uomo” di Emiliano, quindi della corrente di “Fronte democratico”. Insomma, nel partito pugliese di Matteo Renzi tutti sembrano avere la consapevolezza che le sorti dello stesso non possono essere risollevate con la gestione affidata a personaggi che hanno beneficiato di un posto sicura per la loro elezione in Parlamento, ma che lo hanno ridotto ad un “contenitore” privo di contenuti significativi, tanto da far registrare in Puglia, alle politiche di marzo scorso, uno dei peggiori risultati in assoluto del Pd a livello nazionale, nonostante i numerosi centri di potere occupati da anni nella regione, come i grandi Centri comunali, alcune delle Province e la Città metropolitana di Bari, oltre che la Regione. D’altronde, un partito come il Pd (primo per importanza nel centrosinistra) che alle amministrative del prossimo 10 giugno in Puglia non ha presentato liste con la propria sigla in molti dei 47 Comuni chiamati al voto, vuol dire che ai vertici locali qualcosa non funziona da tempo. Ed anche se le responsabilità politiche oggettive non possono essere addebitate unicamente a coloro che occupano il ruolo di segretario, quelle soggettive di non essersi tirati indietro per tempo, rimettendo i rispettivi incarichi nelle mani degli organi statutari incaricati di discutere e porvi rimedio, sono sicuramente imputabili a chi quel ruolo a continuato a tenerlo in maniera silente e, forse, anche accondiscendente. E questo, in un partito i cui organi interni funzionano secondo regola, dovrebbe già essere un buon motivo per uscire di scena coattivamente, se volontariamente non ha neppure la sensibilità di farsi da parte dopo aver conseguito “traguardi” politici che, in altri tempi, difficilmente sarebbero stati ottenuti in un partito nel quale “a funzionare” sono solo i posti da occupare e le poltrone da conquistare.

Giuseppe Palella

 

 


Pubblicato il 24 Maggio 2018

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