Cultura e Spettacoli

L’aceto del condottiero sanò l’esercito

L’esercito cartaginese doveva essere piuttosto provato quando si fermò nel Tavoliere. Lo fa intendere un passo di Polibio tratto dal capitolo 88 del Libro II delle Storie

All’indomani del trionfo del Lago Trasimeno, Annibale si era illuso di non avere più ostacoli sulla strada per Roma. Ma se da un lato era vero che nessun esercito poteva sbarrargli la strada, dall’altro – e ciò emergeva man mano che con i suoi uomini si addentrava in Umbria- le popolazioni del centro Italia continuavano a rimanere fedeli a Roma. Il cartaginese si spostò allora a sud in cerca di nuovi alleati. Il suo obiettivo era l’Apulia. Un viaggio lungo e reso ancor più faticoso dalle snervanti molestie prodotte dalla tattica della guerriglia adottata dal suo nuovo avversario, Quinto Fabio Massimo (il Temporeggiatore). – Annibale inoltre non mancò di seminare confusione e sospetto nel campo nemico incendiando e devastando i terreni attraversati dal suo esercito ma risparmiando i possedimenti di Fabio Massimo, insinuando in questo modo il dubbio su possibili accordi segreti con il dittatore romano. – L’esercito cartaginese doveva essere piuttosto provato quando si fermò nel Tavoliere. Lo fa intendere un passo di Polibio tratto dal capitolo 88 del Libro II delle Storie : Annibale, “facendo lavare i cavalli con vino vecchio, di cui vi era grande abbondanza, li guarì dalla scabbia e dalla loro infermità ; ugualmente fece per i soldati ; guarì completamente tutti i feriti, gli altri rese vigorosi e pronti alle prossime necessità”. La scabbia è una malattia della pelle che produce un prurito tormentoso, che colpisce pure gli animali e si sviluppa in situazioni di grande promiscuità e di igiene approssimativa. Duemila anni fa la si curava con “vino vecchio”, ovvero con aceto ? E’ ragionevole pensarlo. D’altronde la medicina primordiale non offriva grandi rimedi. Mescolando acqua e aceto in una certa percentuale gli antichi ottenevano una bevanda dissetante e dalle proprietà disinfettanti che i romani chiamavano ‘posca’. E ancora l’aceto, questa volta puro e mescolato a sale, era un valido disinfettante per guerrieri alle prese con ferite da taglio, piaghe da marcia e gli altri malanni cutanei che potevano insorgere nel corso di una campagna militare, come la scabbia, appunto. Che le salmerie dell’esercito cartaginese contemplassero anche un carico di aceto in otri dà l’idea di come in passato pur come mezzi risibili rispetto a quelli di oggi fosse possibile intraprendere e portare a compimento imprese colossali (per restare ad Annibale, non fu cosa epica far attraversare ad elefanti partiti da Cartagine prima i Pirenei e poi le Alpi?). – Nell’immagine, ‘Enea ferito curato da un cerusico’, dimensioni :45 x 38 cm. ; affresco asportato da Casa di Sirico (Pompei) ed oggi conservato presso il Museo Archeologico di Napoli. Il dipinto riproduce l’episodio virgiliano riportato nell’ultimo libro dell’Eneide (XII, v. 398 sgg. e 411 sgg.) : Enea, armato e con al fianco il piccolo Ascanio in lacrime, viene operato dal medico Iapyx, inginocchiato davanti a lui, che con un forcipe  estrae la cuspide di una freccia. Sua madre, Afrodite, arriva in volo portando nella mano sinistra un fascetto di erbe medicinali raccolte a Creta, sul monte Ida.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 23 Gennaio 2025

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