Cronaca

L’amministrazione della giustizia non funziona, ma Fitto se ne accorge solo ora

Peccato che l’ex ministro Raffaele Fitto si sia accorto solo ora che è stato condannato che qualcosa forse non funziona, anche in Puglia, nell’amministrazione della giustizia. Infatti, a destare improvvisamente l’attenzione del pupillo pugliese di Silvio Berlusconi, su alcune anomalie nell’amministrazione barese della giustizia, è stata sicuramente la sentenza di condanna, emessa ieri da una Sezione del Tribunale di Bari, che in primo grado ha ritenuto Fitto responsabile di aver percepito una tangente sotto forma di finanziamento regolare al suo partito regionale “La Puglia prima di tutto.” L’ex ministro, infatti, è rimasto particolarmente sconvolto dall’esito del processo e nel volgere di poche ore è passato, dalla difesa dinanzi ai giudici, all’attacco dei giudici in conferenza stampa. Un attacco comprensibile sul piano umano, per l’amarezza sul verdetto, ma sicuramente meno su quello politico, visto che molti si chiedono perché Fitto abbia atteso la fine del processo, che per ora lo vede colpevole, per sollevare il velo su alcune anomalie e contraddizioni che caratterizzano il funzionamento della giustizia a Bari. E conseguentemente l’altra domanda che si pongono è: “Fitto avrebbe ugualmente rilevato le vistose contraddizioni sui tempi delle udienze adottati dallo stesso collegio giudicante, eccessivamente lunghi nel processo Arcobaleno, perché avvenivano con una frequenza media di due all’anno, ma inspiegabilmente brevi, tre alla settimana, per quello che lo ha riguardato, se per caso fosse stato assolto?” Una considerazione questa che, unitamente alle altre, effettuate sempre dall’ex ministro, sulla gestione barese della giustizia (però dopo aver conosciuto l’esito a lui sfavorevole del processo), rende anche nei comuni cittadini l’idea di una situazione dell’amministrazione della giustizia alquanto confusa e, forse, discrezionale, che alla fine rischia di mettere in serio dubbio la credibilità stessa dell’operato dei giudici. A Bari, inoltre, sarà forse un caso se alcuni pm che hanno avuto tra le mani indagini importanti sulla Pubblica amministrazione, che vedevano coinvolti nomi di rilievo della politica regionale e nazionale, sono poi finiti anch’essi in politica, ricoprendo poi anche ruoli importanti di gestione dell’apparato amministrativo pubblico. Una commistione che getta molte ombre sulla credibilità di una fetta dell’organico giudiziario e rare luci sulla vita amministrativa affidata ai fuoriusciti dall’Ordine giudiziario e convertiti alla causa politica. Una situazione su cui finora in Puglia, ed a Bari in particolare, si è spesso sorvolato e che ora, invece, meriterebbe probabilmente di essere approfondita, con un serio ripensamento, in primis, proprio di coloro che, dovendo garantire il rispetto delle leggi, si facciano carico non solo di essere imparziali, ma anche di apparirlo. E la sentenza di condanna di Fitto, emessa a dieci giorni dall’apertura delle urne, e soprattutto a seguito di un iter processuale particolarmente rapido, rispetto ad altri analoghi che non sono ancora conclusi o, peggio, sono finiti per prescrizione dei reati, avvalora ancor più i dubbi di chi ha perso fiducia, o potrebbe perderla, nell’operato di taluni giudici. E ciò certamente non giova alle nostre Istituzioni giudiziarie, che dovrebbero fare di tutto per allontanare financo il sospetto di non essere estranee alla lotta politica. Anche se è noto che può capitare anche alle migliori “famiglie” di avere delle anomalie.         

 Giuseppe Palella     


Pubblicato il 14 Febbraio 2013

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio