Cultura e Spettacoli

L’amore vince sempre

In fondo, il teatro è una cosa di elementarità primordiale. Servono un pubblico, interpreti e chi li diriga. E soprattutto urge una storia da raccontare. Senza un sentimento, senza un’emozione da porgere non si arriva da nessuna parte. Al più, ci si incaglia in elucubrazioni arzigogolate e fini a sé stesse, in quelle vuote esibizioni di muscoli nelle quali tanto si eccita il teatro dei nostri giorni. In altri termini, si pesta l’acqua nel mortaio. Una storia da raccontare, allora. Gli antichi attingevano dal mito. I loro successori, inclusi quelli globali, attingono dal quotidiano. Una scelta opportuna, almeno fino a quando sostenuta da ragionevolezza e senso della misura. Ovvero quanto fa Claudia Lerro in ‘Riccardo e Lucia’. Prodotto da Teatrificio 22 e vincitore del premio ‘Salviamo i talenti’ bandito dal Teatro Vittoria Roma, ‘Riccardo e Lucia’ è una storia vera, contemporanea e nostrana (tutto si svolge nella Corato del secondo dopoguerra). Una storia che vede in scena due dei tanti eroi che senza clamore calcano tutti i giorni il palcoscenico della Storia, Riccardo e Lucia, appunto, nonni paterni della Lerro. Due figure lontane, un sognatore e una figura concreta, un poeta coerente con i propri ideali e una madre-moglie attenta ai bisogni più spiccioli di una famiglia. Proprio questa ‘distanza’ avvicina e avvince, tiene costantemente caldo il rapporto, lo consegna alla micro-storia, al mito domestico. Con queste premesse ‘Riccardo e Lucia’ non poteva non essere che uno spettacolo essenziale. A parte pochi oggetti e un felice disegno luci, in scena non ci sono che loro due, prima un giovane innamorato e una ragazza ritrosa, poi un marito ottimista e una moglie brontolona, quindi un padre dall’onestà temeraria e una madre in ansia per il futuro di quattro-figli-quattro, infine una vedova illanguidita nell’attesa che alla soglia fra mondi lui torni a prenderla sottobraccio come il giorno delle nozze e introdurla all’Altrove. Dialoghi teneri, sapidi, drammatici, comici (che spasso quando spunta il vernacolo) scandiscono il ritmo, costante, di un racconto da caminetto o da braciere, un racconto che prende e dà d’onesto, che ha il profumo di un mazzo di violette donato da un cuore senza fondo, di lenzuola lavate a mano, di un pezzo di pane portato a casa mantenendo in ordine la coscienza. La Lerro scrive e dirige con mano attentissima eppure lieve, senza incespicare nella contro-retorica del ‘poveri ma belli’. Ne viene un lavoro semplice e forte, moralmente edificante (ebbene sì, c’è bisogno anche di questo) e che scorre piacevole. Ivana Lotito e Pio Stellaccio, gli interpreti, si calano meravigliosamente nella parte. Caldo il consenso della platea del Nuovo Abeliano, dove il lavoro è stato in cartellone venerdì scorso per la rassegna Prima Ribalta.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 3 Marzo 2015

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