Cultura e Spettacoli

L’antico gozzo non muore

L’immagine ritrae nei pressi del Margherita uno degli ultimi gozzi ‘di tradizione’, ovvero un tipo di barca solida e versatile, ideale per la piccola pesca e per il turismo sotto costa, interamente in legno, pensata per navigare a remi o a vela ; in questo caso montava un albero sul quale, mediante un’antenna, veniva issata una vela latina. I moderni gozzi sono in vetroresina e, quando muniti di un motore entrobordo, possono essere cabinati, ovvero possono disporre di una sovrastruttura che ricopre la timoneria e che talvolta si estende verso prua ospitando cuccette di fortuna. In quest’ultima configurazione il gozzo prende il nome di ‘pilotina’. Ciò non significa però che i pochi esemplari in legno rimasti in circolazione siano destinati alla rottamazione. Richiestissimi anche da chi non sa cosa voglia dire cima, banco o scalmo, gli antichi gozzi abbandonano il mare e vanno ad ornare ristoranti, punti vendita, persino giardini. Il valore di queste barche nasce dalla loro ‘irripetibilità’. Poiché gli ultimi maestri d’ascia lavorano solo per i cantieri che sfornano yacht e barche a vela d’alto mare, nessuno più suda per allestire una lancia, un burchiello o un gozzo. Maestri d’ascia… Che ne è più di questa gente in Puglia? Ci dicono che ancora a Molfetta qualche rappresentante della categoria è attivo. E, comunque, nell’ambito della riscoperta delle antiche arti, l’Enaip organizza periodicamente corsi volti a sfornare nuove maestranze di carpenteria nautica. Torneremo a vedere gozzi fabbricati a mano invece che in plastica? Pensiamo di no. L’iniziativa regionale ci pare mirata a che almeno le barche da diporto scansino la fine dei pescherecci, oggi non più in legno e armati componendo in prevalenza metallo e vetroresina. Se dunque, come è auspicabile, i maestri d’ascia non scompariranno, è invece un dato di fatto l’irreversibile estinzione di altra categoria di lavoratori del mare : i calafati, ovvero i maestri addetti al calafataggio, tecnica di impermeabilizzazione degli scafi in legno ottenuta creando una giunzione tra le tavole del fasciame. In passato la tecnica consisteva nell’inserire manualmente canapa o stoppa usando una mazzuola di legno, detto “maglio”, e un particolare scalpello a punta piatta, detto “malabestia”, che permetteva di spingere la fibra negli interstizi. Nessun Ente progetta di ‘formare’ calafatari, per cui ciascuno s’arrangia come può. Anche perché se sagomare legname richiede competenze che non si improvvisano, impermeabilizzare fasciami con l’impiego di resine sintetiche spalmabili a pennello facilita la vita anche ai dilettanti.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 7 Maggio 2022

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