Cronaca

L’avamposto contro fame e solitudine sotto al ponte

Diciamocelo: nelle città moderne le miriadi di ragnatele relazionali distinguono la gente in sana, benestante e “normale” e gente diversa, sola, invisibile, etichettata come straniera, vagabonda o accattona. Persone senza casa per scelta, necessità o destino. E’ una divisione quasi in sottofondo, implicita, in un teatro del mondo che porta ad assumere anche questi ruoli. Ma per fortuna dai ruoli si può provare ad uscire, e si può provare a rendere possibile una dignità per tutti. Si può cercare di avvicinarsi a quelle realtà diverse di cui sopra, sottofondo della routine obbligata, per non dover ammettere a noi stessi che la diversità si misura dal denaro, metro forzato di una civiltà impoverita da altri valori. Che poi sono –non ci vergogniamo a dirlo- ‘umanità’ e carità. La realtà però si riscatta in altre forme come ad esempio, nella coscienza dei volontari che smesso il lavoro si dedicano alla solidarietà, di coloro che scelgono il servizio civile o degli obbiettori di coscienza che preferiscono impiegare il tempo che finora lo Stato ha sottratto alla popolazione maschile, con un servizio di utilità sociale per crescere nell’attenzione verso gli altri, anziché nell’ossequio di ordini gerarchici militari. Vocazione ancora più radicale è quella di una vita dedicata al servizio delle suore di Madre Teresa di Calcutta che in ogni città del mondo portano gli stessi valori di gratuità, servizio, accoglienza e solidarietà verso i più bisognosi. Anche a Bari le Suore di Madre Teresa lavorano ogni giorno per seguire la loro vocazione naturale, non facile da assolvere, svolgendo un servizio sociale che talvolta va a riparare a quelle falle di un’assistenza pubblica che non arriva ad aiutare tutti: una piccola struttura mensa-dormitorio maschile in mezzo alla città e una casa  più in periferia (al San Paolo) con un’altra struttura dormitorio-femminile per accogliere le donne e i bambini, sono le realtà concrete che finora possono offrire. Le Suore accolgono tutti coloro che chiedono aiuto (nei limiti delle loro possibilità) di tutte le razze e di tutte le religioni, rispettando tutti, la loro vita, la loro storia. E la gente che ha bisogno lo sa: ogni giorno, alle 16.50 circa aspetta dietro la porta della mensa di Viale Capruzzi il suo pasto quotidiano. Un pasto ogni giorno diverso  preparato dalle volontarie più esperte e servito a circa 60 persone. Anche i volontari trovano accoglienza, chiunque voglia aiutarle è ben accetto e ben accolto, in una concordanza d’intenti che permette rapporti umani basati sulla semplicità e sull’umiltà, un allenamento al dare fatto di piccole cose e di poche pretese, ma che aiuta anche i volontari a ritrovare quella dimensione sociale che la città rischia di perdere. Ma torniamo subito al nostro piccolo “avamposto” sociale, sconosciuto forse a qualche politico e assessore: la mensa funziona ogni giorno tranne il giovedì, giorno di distribuzione dei vestiti usati che le suore selezionano e scelgono a seconda delle necessità dei loro assistiti. Il dormitorio ha trenta posti letto circa, stanzini, un lavatoio e una stanza dove dormono due obbiettori di coscienza a turno. Cose piccole ma essenziali, importantissime per la dignità umana. Le storie di chi chiede aiuto sono le più diverse, ma in comune c’è la povertà e la solitudine, il disagio di una vita da emigrato, o la debolezza di rapporti familiari finiti, con tanti figli alle spalle e tanta difficoltà di vivere. Vite in crisi che portano le tracce materiali del loro disagio nella loro povertà, nella loro debolezza, ma che conservano l’umanità e possono insegnare e dare molto a chi ha voglia di ascoltare. Tra loro c’è anche chi piano piano sente la forza per ricominciare e chiede qualche vestito migliore per presentarsi bene e intraprendere un viaggio di speranza, chiedere un lavoro e ritornare ad usare il proprio mestiere, e sa che per queste cose ci vuole pazienza. Le Suore vorrebbero fare di più, vorrebbero una casa più grande perché spesso non possono accogliere tutti coloro che lo chiedono, ma hanno fede perché dicono: “la solidarietà e la carità portano amore e l’amore porta la fede”, insieme al loro cuore, la cosa più preziosa che hanno.

 

Francesco De Martino

 

 


Pubblicato il 16 Aprile 2013

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