Cultura e Spettacoli

Le donne ‘indesiderabili’ di Alberobello

Il cinema dei pugliesi, con i pugliesi, sulla Puglia o in essa girato è fenomeno recente.

Tanto accende la curiosità sul passato, quando la nostra regione era nel migliore dei

casi semplice ‘location’, anche non citata, di pellicole mai passate alla storia benché

dignitose. Tale fu il caso di ‘Donne senza nome’ (titolo completo : ‘Donne senza

nome – Le indesiderabili’), un film diretto nel 1949 da Géza von Radvànyi,

pseudonimo di Géza Grosschmid (Kassa, 17 dicembre 1907 – Budapest, 27

novembre 1986), regista, sceneggiatore e produttore cinematografico ungherese che

diede il meglio di sé raccontando con realismo i guasti della seconda guerra

mondiale. Se ‘E’ accaduto in Europa’ (1947) è il suo capolavoro, ‘Donne senza

nome’, girato due anni dopo, si inserisce in quel drammatico filone, avendo per

oggetto le vicissitudini di donne di nazionalità differenti concentrate ad Alberobello

nell’immediato dopoguerra. Un campo di concentramento ad Alberobello? Duole

ammetterlo, ma è così. La Masseria Gigante, detta La Casa Rossa, per via della

caratteristica tinteggiatura, divenne nel 1940 luogo di raccolta per internati civili di

guerra. Dopo l’8 settembre ospitò solo criminali di guerra fascisti in attesa di

processo. Dopo il 1945 accolse donne straniere di tutta Europa, per lo più profughe,

ex collaborazioniste o indesiderate a vario titolo ; in una parola, donne ‘scomode’,

perciò innominabili. Il film di Radvànyi è ambientato ad Alberobello per quanto

riguarda gli ‘esterni’. La Casa Rossa non appare, sostituita da un set forse allestito in

loco dove si riproduce un classico complesso recintato di baracche. La storia è quella

di Anna Petrovic, una giovane vedova originaria della Jugoslavia che aspetta un

bambino. Non tollerando che il proprio bambino nasca all’interno del Campo, luogo

di degrado umano e sofferenza, Anna, con l’aiuto di un dentista e di Yvonne, una

francese che è già riuscita a fuggire e che le ha procurato un documento falso, tenta

la fuga. Ma al momento dell’evasione viene colta dalle doglie. Le compagne, che nel

frattempo hanno organizzato uno spettacolo di varietà, prolungano lo stesso per

distrarre l’attenzione delle guardie. Tutto inutile.  Appena dà alla luce il bambino, 

Anna muore. Richiamato dai vagiti del neonato, un brigadiere in servizio al Campo 

che ha perduto moglie e figlio sotto i bombardamenti, prende in custodia il bambino.

Più in là, chiamato a rendere conto del piccolo, mente al suo superiore dichiarando

d’essere il padre del bambino. La menzogna gli costa l’impossibilità di fare carriera.

In compenso il bambino ha un padre. La parte del brigadiere era interpretata da Gino

Cervi, quella di Anna da Valentina Cortese.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Ottobre 2013

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