Cultura e Spettacoli

Le elezioni e gli italiani: dalle urne solo il caos

Nella serata finale del “festival di sanremo” del corrente anno 2013 il Comico Claudio Bisio ha Recitato un Monologo in cui, tra l’altro, ha Detto: ” Finché ci sono loro, questo paese non cambierà”. Loro ? I politici ? Ma a Bisio niente avevano insegnato le contestazioni a Crozza nella serata inaugurale della “kermesse” canora ? Perché, pure, a Lui era venuto in mente di attaccare i politici a pochi giorni dalle elezioni per il rinnovo delle camere parlamentari ? Subito nella sala del teatro “ariston” l’inevitabile, imbarazzato silenzio, la “suspense” d’animo, l’incertezza angosciosa che, però, viene dissolta, come nube che si sgravi del suo lieto tesoro d’acqua, appena Bisio Si Affretta a Specificare: “Non parlavo degli eletti, ma degli elettori; siamo noi i mandanti, noi che li abbiamo votati; a guardarli bene, è impressionante come ci somigliano”. Immantinente, lo scrosciare istintivo di applausi prodotti da mani non guidate da menti che non avevano capito a chi Bisio Si Riferiva, quando Parlava di mandanti delle migliaia di simil- scilipoti che nella miriade di assemblee istituzionali italiettine stanno uccidendo la Democrazia. Per Rodare il nostro Discorso, ecco un esemplare, speculare episodio di cui, inequivocabilmente, è stato protagonista uno di quei balordi inclusi nel “noi” messi alla berlina da Bisio. A Biserno, un paesino di 90 anime in romagna, è stata uccisa a fucilate da un criminale bracconiere (è una ridondanza dare del criminale al bracconiere che è tale già di suo, “tamen”, NOI abbiamo Voluto accumulare su codesto ignoto figuro merda a merda) la Cerbiatta Melinda, che era Diventata per la sua Grazia, Leggerezza, Eleganza delle sue Movenze, quasi, di Danza la Mascotte del paese. Trovata in una stalla, quando era cucciola, allattata, nutrita dalla comunità, Belinda S’era Sdebitata di tanta cura, DonandoSi con pazienza ai gioiosi, carezzevoli giochi dei bambini. Colpita a pallettoni da una distanza di 50 metri, una di quelle esecuzioni, di cui la cronaca c’informa, quotidianamente, perpetrate in uno Scenario Naturale, a Dire di nostro Nonno: ”Paradiso in Terra”, malauguratamente, antropizzato, ché nulla mancasse, anche, da uomini mafiosi, da uomini camorristi, da uomini della “drangta”, da uomini della “sacra corona unita”, da mille altre mafie di uomini cinesi, di uomini albanesi, di uomini rumeni che trovano “terreno di coltura” dove non c’è uno Stato, ché non c’è una Società, ché non c’è un Popolo Consapevole del suo Diritto – Dovere di Essere Sovrano. Lontani dalla Goethiana “Natura Originale” e dal Leopardiano “Primo Uomo”, gli italiettini sono diventati “infantilmente adulti”, spazi squallidi, occupati da corpi abbandonati dal Pensiero che è Luce, quindi, Vita. “Adulti” ché contro la ”Natura Originale” hanno disappreso i gesti, la forma pura, ad esempio, di un pino, di un leccio le cui radici non rimangono indolenti, neghittose nel buio dell’ “humus” profondo, ma si distendono all’aperto e, riscaldate dal Sole, si trasformano in rami che abbracciano altri rami, sui quali le gemme si riprodurranno in comunione. “Infantili” ché, come gli infanti sfortunati per la vicinanza ossessiva di madri, di padri, di nonni, dalla parossistica autostima della loro pochezza culturale e umana, sottratti all’eccentricità dei loro giochi, ai divertimenti, anche, trasgressivi della morale dei loro spenti, tediosi inquisitori,”cambronnano” il “primo vere” della loro età con i codici linguistici, comportamentali, relazionali dei loro maggiori; s’imprigionano, per sempre, nella chiusura dei ruoli, prima di genere, e, poi, in tutti gli altri schemi, caselle, che il potere ha, ognora, destinato agli idioti, agli zombi per più, facilmente, controllarli, amalgamarli. Morta l’Infanzia Autentica del “Primo Uomo”, si smarrisce l’Immaginazione, il Cuore, l’Intelligenza, l’Intuizione Psicologica, l’Estro; non hanno più Amori gli italiettini, né Amicizia, se non quelli canonici dettati dall’autorità della prosaica, abitudinaria, fascista, razzista normalità, non quelli Proposti, Celebrati, Cantati dalla Letteratura (ad esempio: la Passione di Tommasino per un filo d’erba per il quale dà in Olocausto la sua Vita nella Novella di Pirandello “Canta l’Epistola”), Valori, Modi di Essere che non Disegnano programmi politici o ideologici, sebbene ci Aprono gli occhi sugli scenari a noi oggettivi che, continuamente, si fanno e si disfanno, ché tutto è possibile, se i giovani, precipuamente, si Convincono che l’uomo, Percepito da Aristotele “Zoon Politikòn”, è il Generoso Costruttore della Solidarietà che Si Concretizza nella Società dei Probi, Meravigliosa Avventura nell’Idea o nell’ Ideazione Poetica ma, eziandio, nella Realtà, Vivendo le “Utopie” della Prima o nella Prima al di là di tutti i limiti, non definitivi, che, incancreniti nel Tempo, sono diventati ipostasi, credute irriducibili. Gli italiettini non sono usi porsi a distanza da ciò che sono, da ciò che sono i loro parenti, i loro figli; hanno con loro un rapporto, visceralmente, istintuale,”idolatrico”, non libero, non critico, non inquieto, come con tutto ciò che si definisce ”esistente” , perché la federazione di condòmini, in cui si ” aggregano” i branchi, le canee di essi, marciscono nella persistenza di connotati tramandatici dall’ “urbe” o dall’usura del Latino dell’ “urbe”: il familismo amorale, il privilegio anteposto al Diritto o al Diritto del Merito, la sconoscenza della Virilità, come esercizio da parte del “Vir” (non del macho che ostenta maroni e genitali ingombranti adoprati, “miles gloriosus” della sessualità da angiporto, sin dalla più tenera età) della “Virtus”, la ricerca delirante del bene privato,”particulare”, non del Bene Comune, dell’Interesse Generale. Inoltre, l’ostinato “infantilismo adulto” che ha ostacolato tra gli italiettini l’Elaborazione del “Bisogno di uno Stato” trova la sua scaturigine nella prassi millenaria di quel “bubbone cancerogeno”, come lo definiva Francesco Guicciardini, che è la chiesa cattolica, intesa quale istituzione dotata di una politica sovrana molto mondana, materialistica, storicamente, giammai, spirituale, di un’economia autonoma, di un diritto sovrano che oppone a quello dello stato italiettino, di una morale da parrucconi alla cui ubbidienza gli italiettini dovrebbero, pena l’inferno, rassegnarsi, più che Sublimarsi nel Rispetto della Legge. Infine, ci sono poche Letture nel tempo libero degli italiettini: Biblioteche deserte; crescono, quali funghi velenosi, bar, pub, discoteche, sale giochi, sì che, a Detta di Arbasino, i vegetanti lungo lo stivale costituiscono il “popolo dei videogiochi e dei film sui serial killers, imbottigliato in serie”; muoiono, altresì, per carenza di Affamati di Poesia, di Scienza, di Filosofia, le poche Librerie, Degne di siffatto Nome. Eppure, oggi, la più parte degli italiettini è scolarizzata, moltissimi sono i diplomati, sconsolante la infornata di laureati che, per la preparazione con cui le università da terzo mondo li licenzia, meriterebbero di avere l’alloro di braccia ”sine prudentia” rubate all’agricoltura! Dice Pietro Citati: ”…anche i libri pensano, come noi e meglio di noi, moltiplicano i pensieri che noi vi abbiamo depositato”. E Mario Vargas Llosa Incalza: ” Una società impregnata di letteratura è più difficile da manipolare da parte del potere, è più difficile da sottomettere e da ingannare, perché l’inquietudine con la quale torniamo nel mondo dopo esserci confrontati con una grande opera letteraria crea cittadini critici, indipendenti e più liberi di quanti non vivono quell’esperienza”. Vero è ben, cosa, mai, di positivo potremmo “hic et nunc” e potremo aspettarci in futuro dai rappresentanti di un popolo, da eletti tra un popolo che, già nel 1800, Leopardi nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani” riteneva non potesse intraprendere il Viatico del Progresso Civile in quanto: ” Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci”. Ancora, nel 1923 Pietro Gobetti in “Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia” lamentava che tutti gli attori sociali, all’interno del popolo italiettino, nelle loro battaglie perseguivano meri interessi corporativi, cioè preferivano che la montagna della Storia partorisse i topolini di varia grandezza o utilità per ciascuno di loro più che un Avvenire Migliore nel familiarizzare a una Visione Sociale Fondata sulla Convivenza e sulla Condivisione di Principi Comuni. Infatti, non potevano essere liberali ”i nazionalisti e i siderurgici, interessati al parassitismo dei padroni, né i riformisti che combattevano per il parassitismo dei servi, né gli agricoltori latifondisti che vogliono il dazio sul grano per speculare su una cultura estensiva di rapina, né i socialisti pronti a sacrificare la libertà di opporsi alle classi dominanti per un sussidio dato alle loro cooperative”. Così, dopo il 24 e il 25 febbraio, dalle costose urne riuscirà il “caos” e verseremo lacrime amare in quanto niente di nuovo il sole illuminerà ché è stato, è, sarà questione di uomini mediocri, dal fallace voto di ignari titolari d’una sovranità, ”nunquam” esercitata, innalzati agli Scranni, nella Teoria Costituzionale, Democraticamente, più Nobili della Repubblica, coltivati in una scuola che appiattisce in basso i rari suoi studenti con un Quoziente Intellettuale al di sopra della fetida marea dei suoi annoiati pretendenti “a gratis” di un diploma o di una maturità, diseducati al Bello, che è l’aurora del Bene, dalla tolleranza del brutto da parte di tutte le agenzie educative (famiglia, scuola, partito, sacrestia). “Non sarà proprio ingiusto, Proclama Arbasino, che in Italia, per disporre di un ingegno superiore, bisogna evidentemente nascere conti o gobbi o tutt’e due, come dimostrano Manzoni e Gramsci e Leopardi ?”.

Pietro Aretino, già Detto Avena Gaetano pietroaretino68@virgilio.it


Pubblicato il 22 Febbraio 2013

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