Le liti tra Calenda e Renzi aprono uno spiraglio a Emiliano
Manovre per riportare Clemente in maggioranza
La mancata formazione di un partito unico tra l’ex premier Matteo Renzi ed il suo ex ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha riaperto a speranza per il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, di riportare nelle fila della sua maggioranza almeno due dei tre consiglieri che lo scorso dicembre sono confluiti in “Azione”, ossia Sergio Clemente e Ruggero Mennea, che – come è noto – insieme al collega Fabiano Amati hanno dato vita al gruppo dei “terzopolisti” nell’aula barese di via Gentile. Infatti, che Emiliano stesse avviando un tentativo di recupero di Clemente e Mennea nel perimetro della coalizione giallo-rossa lo si è capito chiaramente mercoledì scorso, quando in Consiglio regionale a sorpresa ha dichiarato di non votare la mozione di sfiducia presentata dall’opposizione di centrodestra, ma anche condivisa da una larga fetta di consiglieri di maggioranza, per l’estromissione di Clemente dall’Ufficio di Presidenza dell’assemblea, pur essendo stato di fatto, in precedenza, lo stesso Emiliano a spingere sull’acceleratore per la defenestrazione del consigliere neo-calendiano da detto ruolo, affidatogli – come è noto – in quota alla maggioranza, di cui però Emiliano e la sua coalizione di riferimento ritengono che non possa fare più parte, dopo l’adesione al partito di Calenda. Un dietro front o, quantomeno, uno stop di Emiliano su Clemente che ha immediatamente provocato il ritiro della suddetta mozione da parte dei presentatori del centrodestra, che hanno subito capito che la loro proposta, a prescindere dal motivo addotto da Emiliano sulla legittimità, ossia la mancanza dei “gravi motivi” per la revoca di Clemente da segretario d’aula, non avrebbe avuto più i numeri necessari per l’approvazione con il venir meno dei voti di gran parte dei consiglieri di centrosinistra, dopo il segnale di “non voto” lanciato espressamente dal governatore. La lite apertasi la scorsa settimana tra Calenda e Renzi per la costituzione del partito unico, ma forse, ancor prima, già i risultati poco lusinghieri conseguiti da “Azione” alle regionali di febbraio scorso in Veneto e nel Lazio, hanno fatto ipotizzare ad Emiliano uno spiraglio per riportare a casa, ossia nella formazione giallo-rossa di centrosinistra, almeno qualcuno dei consiglieri regionali pugliesi che negli ultimi tempi si sono avvicinati a Calenda e Renzi, che – come si ricorderà – non hanno mai avuto rapporti idilliaci con il governatore pugliese e viceversa. E se fosse solo questa la ragione è possibile pure che Emiliano avrebbe sorvolato sull’avvenuta adesione di Clemente, Mennea ed Amati al partito di Calenda, come sostanzialmente è avvenuto per un altro consigliere, il tarantino Massimiliano Stellato, eletto nel 2020 con una delle liste civiche centriste a sostegno del governatore, ed ultimamente avvicinatosi al partito di “Italia Viva” di Renzi. Invece così non è stato, poiché in realtà Emiliano, con la formazione all’interno della sua originaria maggioranza di centrosinistra di un gruppo calendiano, è stato forse costretto a scegliere se continuare a mantenere stretto il rapporto con i pentastellati, oppure a mettere espressamente fuori della coalizione i tre neo-calendiani e, quindi, a tentare di togliere a questi ultimi il posto nell’Ufficio di Presidenza affidato precedentemente in quota maggioranza a Clemente. Infatti, la nota e dichiarata incompatibilità politica tra i terzopolisti di Calenda e Renzi ed il M5S di Giuseppe Conte potrebbe essere all’origine dello scontro apertosi dallo scorso dicembre in seno all’Assemblea pugliese, tra la coalizione giallo-rossa di Emiliano ed il neo-gruppo di “Azione”. In altri termini, se Clemente e Mennea non avessero formato, insieme ad Amati, il gruppo calendiano, ma fossero rimasti delle “monadi” politiche, come è per il neo-renziano Stellato, è probabile che Emiliano avrebbe continuato a far finta di nulla, anche qualora questi avessero criticato aspramente l’attività politica dello stesso Emiliano (come di fatto era anche avvenuto in precedenza). Quindi, il freno a mano tirato ultimamente da Emiliano nell’ultimo Consiglio, sulla mozione di decadenza di Clemente, altro forse non è se non il tentativo di indebolire il gruppo di “Azione”, per farlo dissolvere. Infatti, come è noto, per la presenza di un gruppo politico in Consiglio facente capo a consiglieri eletti sotto altre sigle è necessario che vi facciano parte almeno tre rappresentanti. Diversamente il nuovo gruppo non può essere costituito. Allora, il tentativo non dichiarato di Emiliano potrebbe essere proprio quello di sfilare Mennea e Clemente dal nuovo gruppo di “Azione”, per lasciare la sigla di Calenda fuori dal Consiglio regionale pugliese. Ed in tal caso Clemente potrebbe, per Emiliano e la sua maggioranza, verosimilmente anche restare al suo posto nell’Ufficio di Presidenza. Ma questa è solo un’ipotesi i cui risvolti, però, non potranno di certo tardare molto per essere verificati.
Giuseppe Palella
Pubblicato il 21 Aprile 2023