Cultura e Spettacoli

Le palafitte di Torre Guaceto

Si credeva che le palafitte, almeno in Italia, fossero distribuite solo lungo l’arco alpino e nella Pianura Padana. Ma la scoperta nel 1984 a Castel Gandolfo del Villaggio delle Macine, considerato finora come il più grande villaggio palafitticolo d’Italia, ha spostato la prospettiva degli studiosi. A convincere gli ultimi scettici è arrivato a distanza di pochi anni il rinvenimento dei resti di altre palafitte dell’età del bronzo in corrispondenza del promontorio su cui si leva Torre Guaceto. Quale le ragioni di andare a vivere nella palude (allora ben più estesa di oggi) dell’importante sito a nord di Brindisi? Chiuso fra la striscia di dune costiere (di cui oggi resta scarsa traccia) e la striscia paludosa, il villaggio di Torre Guaceto era invisibile ai nemici. E la prossimità del mare e della zona umida (ricca di preziosi sbocchi sorgivi) offriva a quei primitivi facili possibilità di approvvigionamento (pesce e uova di uccelli di palude). La necessità della palafitta si spiega più con la difficoltà di erigere un pavimento al di sopra della melma e con la convenienza a preservarsi dall’umido piuttosto che con la necessità di difendersi da animali da preda, generalmente rari nelle paludi. A Torre Guaceto, dunque, viveva in relativa sicurezza una comunità che più avanti avrebbe dato vita ad un prospero villaggio. Lo fa pensare la presenza degli avanzi di alcune fornaci per la cottura del vasellame. Quale aspetto poteva presentare questo rudimentale complesso abitativo? Assai probabilmente quello di una piattaforma rettangolare ottenuta con tronchi di legno legati strettamente insieme in modo da formare una pavimentazione e posata su pali impermeabilizzati con sostanze grasse e che affondavano nell’acquitrino. Sulla piattaforma trovavano posto più capanne rettangolari costruite con un sistema di tronchi ad incastro, provviste di tetto a spioventi rivestito con graticci vegetali, paglia e fango. Le capanne erano disposte in modo da formare un reticolo di sentieri interni e da lasciare  uno spazio libero destinato agli animali da cortile. Un parapetto proteggeva il perimetro della piattaforma, l’accesso alla quale avveniva tramite scale che a notte si usava ritirare. E’ possibile pure che l’insediamento di Torre Guaceto disponesse di un accesso diretto al mare o a qualche corso d’acqua per mezzo di un canale aperto nel giuncheto. Se il perimetro del villaggio, infine, era chiuso da un recinto di difesa e provvisto di porta d’ingresso, si può concludere che la comunità di Torre Guaceto ebbe vita lunga e che nessuna tribù nemica potette insidiarla. Ad avere ragione di quel geniale incastro di pali, dopo che venne abbandonato dai suoi abitatori, fu solo l’azione nel tempo degli agenti atmosferici.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 12 Settembre 2015

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