Cultura e Spettacoli

‘Le schegge’, dove l’arte della denuncia?

Il dovere morale di contribuire a un mondo migliore sbattendo in prima pagina i mostri globali (multinazionali, mercanti d’armi, industriali della droga e del traffico di braccia, donne, organi…) sollecita i registi a scelte forti, a volte anche crude. Tale necessità pone all’ultimo posto il senso dello ‘spettacolo’. Ora, se è vero che certe ‘gesta’ – salvo quando raccontate in film che guardano al botteghino – non giustificano l’esercizio della bellezza, è altrettanto vero che una cura modesta nell’arte di confezionare la denuncia e in termini tali da non procurare noia allo spettatore e mantenerne desta l’attenzione sino all’ultimo fotogramma, non giova al documentario. E meno ancora esso funziona se l’apparente approssimazione della tecnica, pianificata per dare un senso di realizzato lì per lì in mezzo a cento difficoltà, si rivela strumentale al bisogno del regista di mettersi in luce. Cose impensabili nei giorni dei ‘servizi’ dove una voce fuori campo, con distacco obiettivo assemblava frammenti individuati con senso opportuno della cronaca e ‘fermati’ con professionalità corretta, affatto narcisista. A quest’ultimo genere di operazioni pensavamo con nostalgia giovedì sera nelle sede del Cineporto. Nell’ambito della rassegna ‘Registi fuori dagli sche(r)mi’, a cura di Luigi Abiusi e organizzata da Apulia Film Commission con altri partner, era in programma ‘Les éclats’, un film di Sylvain George. ‘Les éclats’ descrive la dignitosa sofferenza di clandestini che, sparpagliati nei dintorni di Calais, attendono l’occasione per salire sul primo traghetto e sbarcare in Inghilterra. Interviste si alternano a scene di vita quotidiana : Si fugge davanti alla Polizia, si scavalcano recinzioni, si dorme, si mangia, ci si lava alla men peggio… Il tutto sotto un cielo bigio, alla cui avara luce si pone rimedio con una fastidiosa sovra esposizione del bianco/nero. Colpi di buio intervallano con effetto di pagina girata i segmenti dell’opera. Le immagini hanno un che di tagliente. Anche le interviste. Ma alcune, non ne bastasse l’amarezza, oltre che interminabili sono rese più ostiche dal disturbo ossessivo del vento (il prezzo dell’effetto presenza). Sylvain George, poi, si ostina in primi piani inamovibili e da angolature irragionevoli. Poco a poco ‘Les éclats’ suscita un senso di noia che tocca la sofferenza allora che il suono distorto di un’armonica blues piove tormentoso sulle immagini. Certe modalità di sollecitare le coscienze verso una delle più alte emergenze globali ci tornano improduttive. Con ciò non vogliamo rimpiangere luoghi comuni dell’immagine e di facile consumo. Semplicemente, avremmo preferito una ‘confezione’ meno cercata sotto la buccia e più ‘utile’ ai fini, comunque nobilissimi, che ‘Les éclats’ si propone.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 25 Maggio 2013

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