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L’ex Maurizio Laureri:“Bari la mia maglia più importante”

A tutti i tifosi del Bari, dico che non vi ho dimenticati. La Bari è sempre nel mio cuore, ci ho passato e vissuto gli anni più belli, raggiungendo la massima serie. Per me Bari è stata la maglia più importante che indossato, ci tengo a precisare che non sono mai stato uno che manifesta il suo attaccamento in modo diretto. Mi manca Bari ed il suo calore e pur essendo riservato, voglio dichiararlo pubblicamente, amo Bari incondizionatamente. Ricordo con affetto i miei compagni di squadra, il compianto Catuzzi, il ds Ianich e mister Salvemini, il quale mi ha fatto esordire in ‘A’ contro la Juventus” è come ha esordito un ex Bari, Maurizio Laureri, sette stagioni in biancorosso, 100 presenze e due gol in campionato più uno in Coppa Italia, che nonostante siano passati ben ventisei anni dalla sua ultima stagione con la nostra maglia, la porta ancora nel cuore. Di carattere molto riservato, per sua stessa ammissione, per scelta non allena nonostante abbia il patentino da tecnico, ha indossato le maglie dell’Inter, Monza, Bari, Barletta e Como, Tolentino e Mantova nei professionisti, dopodiché è sceso di qualche categoria, giocando sino a 40 anni, senza mai tirarsi indietro.

Descrivi che tipo di giocatore sei stato.

Ho fatto la trafila nel settore giovanile dell’Inter, nasco come difensore centrale, poi spostato quasi da subito a terzini fluidificante e poi Catuzzi, innovatore nel ‘calcio a zona’ mi ha fatto diventare mediano. Ero un incontrista, tanta corsa e sempre pronto alla battaglia. A Monza ho iniziato a giocare come terzino ed all’occorrenza esterno, a Bari poi ho avuto l’onore di giocare con Giovanni Loseto, Giorgio De Trizio e tutti i campioni passati. Con Salvemini, ero diventato centrocampista a tempo pieno, ma ho giocato sino a 40 anni”.

All’Inter sei stato con mister Gigi Radice ed Ilario Castagner, al secondo anno. E poi sei passato al Monza, nel 1985/1986. Raccontaci.

Con l’Inter venivo dal settore giovanile e andavo spesso in panchina con mister Gigi Radice ma senza mai aver giocato in campionato. L’anno dopo venne un altro grande tecnico, Ilario Castagner e mi lanciò in Coppa Italia in semifinale in un derby col Milan, potete immaginare l’emozione. Quello fu l’unico episodio, salvo poi tornarci a fine stagione, dopo che avevo disputato la mia prima stagione in comproprietà con il Bari, per disputare il ‘Mundialito’ sotto la guida tecnica del grande Trapattoni, insieme ad altri giocatori che giungevano da fine prestito. Trapattoni di lì a qualche anno avrebbe vinto lo scudetto in neroazzurro che mancava da 26 anni. Tuttavia, nella stagione dopo venni riscattato a titolo definitivo dal compianto direttore sportivo del Bari, Franco Ianich, il quale mi volle fortemente a Bari e vi garantisco che non ho rimpianti. A Monza, invece, è stata una sorta di rampa di lancio, giocai titolare conservo un bel ricordo a livello individuale, anche se retrocedemmo, seppur lottando, però quell’esperienza mi servì per approdare a Bari”.

A Bari il primo anno sotto la guida tecnica di Enrico Catuzzi, realizzasti anche un gol, che ricordi conservi in particolar modo quella prima stagione.

A Monza con lo stadio pieno c’erano cinque-seimila spettatori, a Bari, senza nulla togliere a quanto precedentemente nominato, venivano in venti mila e passa allo Stadio della Vittoria a sostenerti sino al triplice fischio e dopo per chiederti un autografo. I tifosi li sentivi da tutte le parti, si dice il dodicesimo uomo in genere, loro erano parte dell’undici titolare. Dopo un colloquio con Franco Ianich che mi spiegò le ambizioni della piazza barese, non me lo feci ripetere ed accettai. Bari ha un pubblico da serie ‘A’ e sul campo demmo battaglia, fummo sfortunati e dispiace che proprio in occasione del mio primo gol, poteva valere doppio ed invece pareggiammo 1-1, era il 30 novembre 1986. La mia rete avvenne su assist di Bergossi, mi smarcai ed accentrai e lasciai partire il tiro, purtroppo a rovinare la festa fu Sauro Frutti che pareggiò i conti. Fu una stagione che avremmo meritato ben altra sorte, ma il calcio è così. Resto grato al compianto mister Catuzzi perché mi diede fiducia, e nonostante avesse un carattere molto schivo e spigoloso con la stampa e terzi, in campo era un ‘maestro’, un antesignano della zona ed il suo calcio erano concetti che si trasformavano in pratica. Chi ha giocato con lui, sa a cosa mi riferisco. Legai tanto con Pino Giusto, Giorgio De Trizio, Angelo Terracenere, Carlo Perrone, ricordo con piacere anche Claudio Nitti, un bravo ragazzo e professionista”.

A Bari hai avuto anche mister Salvemini con il quale hai vinto un campionato di B, seppur non da protagonista causa grave infortunio ed hai esordito in ‘A, con una parentesi importante a Barletta. Raccontaci.

Se a mister Catuzzi devo tanto per avermi plasmato come giocatore e uomo, a mister Salvemini sarò per sempre grato per avermi dato l’opportunità di far esordire in ‘A’, esattamente il 16 settembre del 1990 contro il Torino avvenne il mio esordio nel nuovo stadio al San Nicola: subentrai ad Angelo Colombo, a mezz’ora dalla fine e quasi al novantesimo avemmo un rigore che Joao Paulo trasformò e battemmo il Toro di Mondonico, era la seconda di campionato. Ci salvammo battendo il Milan di Sacchi alla penultima giornata e mi porto con me l’orgoglio di aver preso parte a quella gara, perché subentrai a pochi minuti dalla fine, e mentre a loro gli togliemmo la possibilità di vincere il campionato, noi vincemmo la nostra Champions League, salvandoci matematicamente con doppietta del brasiliano Jaoo Paulo, un talento innato. Al primo anno in A, feci solo una panchina (contro la Juventus, ndr) poi fui ceduto al Barletta perché ero reduce dal campionato precedente dove alla seconda giornata, mi feci male gravemente, nella partita contro il Parma e fui costretto a vivere quella promozione quasi da spettatore, tuttavia, vi svelo due aneddoti: il primo, mi trovai a seguire più di una partita da dietro la porta, con le stampelle, ed assieme a me infortunati c’erano anche due grandi giocatori ed amici, Fabio Lupo e Carletto Perrone; il secondo episodio, invece, fu che al termine di quella stagione, disputai un’amichevole contro l’Inter, terminata 1-1 e ad inizio partita ci fu uno spettacolo incredibile con Lino Banfi e Nicola Pignataro, fu una serata fantastica allo Stadio della Vittoria, con rete di Perrone su ‘scavetto’ di Maiellaro e Matteoli per l’Inter pareggiò nel finale. A Barletta, invece, ci andai ad ottobre dell’anno seguente all’infortunio per rimettermi in gioco e li ho stretto molto con la punta Vincenzi (ex Milan e Lecce, ndr) e Ciccio Pedone, con quest’ultimo che avrei ritrovato alla mia ultima stagione col Bari, anni dopo”.

Svelaci qualche retroscena di quando hai sfidato un tuo ex capitano, Giorgio De Trizio che indossava la maglia del Messina e di come da calciatore hai vissuto il ricambio generazionale, con Emiliano Bigica capitano nella stagione 1993/1994?

Premetto che il mio sogno sin da bambino era di diventare calciatore ed esordire in serie A e gli ho realizzati entrambi. Con il Bari ho esordito e giocato per sette anni, se non fosse stato per l’infortunio, penso sicuramente sarei riuscito a fare anche un paio di stagioni in più; mia moglie è barese ed a Bari ogni volta che ho possibilità ci torno volentieri. Con il gruppo dei baresi, sono rimasto molto legato, Giorgio De Trizio, non molto tempo fa lo ritrovai a Bari in un ristorante e lo salutai con affetto. Nella mia carriera ho fatto pochissimi gol, però due in Coppa non li dimentico: uno al termine dei 120minuti, nella stagione 90/91 quando sfidammo ai rigori il Messina in Coppa Italia, vincemmo grazie anche ad una mia rete, e dall’altra parte infallibile ricordo che c’era Giorgio De Trizio, il quale nonostante l’emozione segnò ma non bastò ed a fine partita andammo in tanti ad abbracciarlo e rincuorarlo. Nella stessa edizione della Coppa, segnai gol anche all’Atalanta. Invece nel 1993-1994, avevo qualche anno in più ed ero più un uomo spogliatoio e da chioccia per i più giovani, i più anziani erano andati via e rimasero in pochissimi. Si puntò fortemente sul vivaio biancorosso, fortissimo e con Emiliano Bigica, nominato capitano, ma c’erano anche i vari Andrisani, Lorenzo Amoruso, tutti ragazzi con grandissimo potenziale, con due grandi bomber davanti, Igor Protti e Sandro Tovalieri; quello. fu l’inizio di un nuovo ciclo”.

Un’ultima battuta sul Bari di Vincenzo Vivarini che il 13 luglio scenderà in campo per conquistarsi la promozione ai playoff, in un cammino che prevede tre partite sino alla finale.

Saranno tre finali, da dentro o fuori perché con gara secca. In gioco c’è la gloria, i sacrifici di una stagione, fisici e mentali della squadra e del tecnico ed economici della società, e non per ultimi tutta la passione ed attaccamento della tifoseria biancorossa che sarà fortemente penalizzata, se non sarà consentito loro di assistere, seppur in forma parziale. Ritengo che bisognerà evitare la lotteria dei rigori e vincerle prima, evitando cali di concentrazione anche se l’avversario sulla carta è inferiore. In certe gare le motivazioni vengono da sole, però venendo da un periodo di pausa, la differenza la potrà fare l’aspetto mentale associato alla parte atletica. Di certo il Bari può contare su un organico di qualità e sono sicuro che i centrocampisti più di qualità e le punte potranno trascinare Bari al traguardo. Rivolgo un caloroso abbraccio ideale alla mia Bari e spero di venire presto dalle vostre parti, perché mi sento a casa”. (Si ringrazia per la foto Maurizio Laureri, Bari-Roma del 10/02/1991).

Marco Iusco

 

 

 

 


Pubblicato il 24 Giugno 2020

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