Liberi di essere clandestini
La danno in pasto agli Italiani. Raccontano che i ragazzi tunisini come lui, quelli arrivati a Lampedusa sui barconi, quelli che dovrebbero essere stipati nella tendopoli di Manduria, saltano le reti e fanno buchi per scappare, e gridano “Liberà… libertà!” mentre s’incamminano sulla strada per la Francia. Se Hamde sapesse questa storia sorriderebbe e, chissà, forse si farebbe la sua prima grassa risata, dopo giorni passati all’addiaccio, a maledire se stesso per essersi spinto in un paese che vorrebbe espellerlo come clandestino ma, tra giochi politici e d’interesse, non è abbastanza organizzato per farlo. Di certo, direbbe a tutti che si tratta di un brutto malinteso, che oramai non serve più saltare le reti, che i cancelli sono aperti e gli agenti a cavallo non giocano più a guardie e ladri, rincorrendo gli immigrati per la gioia delle telecamere. Saprebbe dire la verità Hamde, e non esiterebbe affermando che i poliziotti e i soldati lasciano andare via dalla tendopoli tutti gli immigrati, quando vogliono, come vogliono, in piena libertà. Già… se solo Hamde sapesse. Potrebbe con due parole distruggere il castello di sabbia mediatico creato dai giornali e dalle televisioni, di destra e di sinistra, che raccontano di fughe rocambolesche e dipingono i ragazzi ora come clandestini ora come poveri disperati in cerca di aiuto. Ma forse è meglio che Hamde non sappia nulla. Che continui, nell’innocenza dei suoi vent’anni, ad ubriacarsi della speranza di un lavoro in Italia, in Belgio o in Francia. E che vagabondi in pace, insieme agli altri come lui, nel campo profughi a cielo aperto che è diventato il paese di Oria, piccolo borgo antico, distante solo poche centinaia di metri dal campo di Manduria. Ad Oria gli immigrati passeggiano per le viuzze del centro storico, siedono alle panchine dei parchi per passare il tempo, mangiano e bevono nei bar e nelle salumerie usando gli ultimi soldi che gli rimangono. Tutto il paese è un continuo via vai di macchine e furgoni della polizia, guardia di finanza ed esercito. Non sorvegliano gli immigrati che possono, tranquillamente, partire in direzioni indefinite. I poliziotti servono solo a dare ai cittadini un’impressione di sicurezza. Sono praticamente inutili, poiché gli immigrati non hanno nessuna voglia di commettere reati: sono qui per lavorare. Lo assicura Mahadi, 27 anni, in Tunisia faceva l’elettricista per qualche decina di euro al mese. « Sono pronto a zappare la terra, se necessario ». Dallo sguardo è difficile non crederci. Mahadi è stato “ripescato” alla stazione di Bari: i poliziotti controllavano il diretto per Roma. « Lì mi aspettava mio padre e mio fratello – racconta – mi avrebbero portato in Francia. Adesso non ho voglia di fuggire di nuovo, come farei con sole 50 euro ». Più o meno simile è la storia di Mohammad, meccanico di 24 anni. « Perché non si sbrigano a darci il permesso di soggiorno – sbraita – siamo dei rifugiati. Fuggiamo dalla guerra! ». A nulla valgono le mie spiegazioni, il Governo non li ritiene dei rifugiati: in Tunisia vige un regime democratico. « Ma quale democrazia, c’è la guerra! Mio fratello è stato ucciso nelle proteste contro Ben Alì ». Se non ci fosse al mio fianco Aiman, sarebbe impossibile comprendere ciò che dicono questi ragazzi: parlano arabo e francese, non conoscono l’italiano e il loro inglese è pessimo. Il mio interprete è palestinese « Ma ho passaporto israeliano », precisa. Aiman studia da quattro anni all’università di Lecce ed anche lui, come tanti altri, è venuto a Manduria per osservare con i propri occhi la situazione dei suoi “fratelli”. « Come possono lasciare tanti giovani in queste condizioni – incredulo, il suo sguardo saltella nervoso da un viso all’altro dei migranti – non gli permettono di lavarsi, le razioni di cibo sono insufficienti e il caldo di questi giorni rende impossibile la vita nelle tendopoli ». Il caldo e le condizioni di vita impossibili: è per questo che le forze dell’ordine hanno ricevuto l’ordine di far uscire liberamente gli immigrati? Così facendo, i Tunisini possono fuggire e recarsi dovunque, senza controllo. Ma forse è proprio questo lo scopo di una situazione di emergenza che sembra studiata a tavolino. Nel parco di Oria incontro Wassim. Seduto alla panchina assieme ad un altro immigrato, guardano la gente passare. Come mai non fuggite? Siete liberi. Wassim sulle prime non risponde. Se ho una sigaretta? No, mi dispiace, non fumo. « Non sappiamo dove andare – è deluso il tunisino, avrebbe risposto più volentieri fumando una Malboro – attendiamo qui finché non ci dicono dove andare, la notte torniamo al campo a dormire. Speriamo ci permettano presto di lavorare ». Sahi sono giorni che non dorme più al campo. « Si sta male lì – dice lui – è meglio dormire per terra in campagna ». Sorseggia lento un caffè in un caratteristico bar del centro storico. « Io in Francia? Magari! ». Un connazionale, seduto anch’egli al tavolino del bar, lo guarda con approvazione. « Con queste – continua Sahi indicando, con due stridenti pacche, le gambe sottili – non si fanno duemila chilometri sino in Francia ». I tunisini continuano ad uscire a centinaia dal campo; non corrono come si vede nei vecchi filmati che le televisioni continuano a trasmettere durante i telegiornali, risalenti ai primi giorni che il centro di accoglienza di Manduria fu messo in piedi. Questi giovani camminano tranquilli; in testa solo l’incertezza del futuro. E tanta rabbia. Come quella di un giovane, forse ubriaco o drogato; di certo, con evidenti problemi psicologici. Le cornee arrossate, le pupille di fuori. Cicatrici da taglio su entrambe le braccia, sono il segno che il nostro amico non se l’è passata bene, a casa. Se ho della benzina? Come potrei averne, e a che ti serve? « Voglio darmi fuoco, non capisci! ». Gli altri lo isolano, non gli danno ascolto. « Vuole fare come Bouazizi », l’uomo che si è dato fuoco innescando le proteste in Tunisia. Sale la tensione. Avvertiti del pericolo, i poliziotti fermano l’uomo mentre armeggia con il serbatoio del gruppo elettrogeno. « Non vi preoccupate è innocuo » , afferma un addetto della tendopoli. Come è innocuo? Vuole darsi fuoco, non ha visto l’accendino? E gli occhi, non ha visto gli occhi? « Quella è solo una congiuntivite, ce l’ha da sempre… non iniziamo con gli allarmismi esagerati, qui tutto è sotto controllo ». Sotto controllo un corno. Vado via, è meglio; non voglio guai con la polizia: i giornalisti, in questi casi, per i poliziotti sono peggio dei criminali. Mentre vado via, alle mie spalle si anima una protesta popolare. Di italiani questa volta. « Mandateli ad Arcore! », urlano ai megafoni. « Non ce l’abbiamo con gli immigrati, loro non centrano, sono dei disperati. Ce l’abbiamo col Governo e con Berlusconi. Altro che villa con le palme, qui tutti se ne fregano! Ce li mandano da noi al sud, mentre al nord gli schifano… ». Sono stanco. Lascio il disordine alle mie spalle. Sulla strada del ritorno, supero due tunisini a piedi. Se non hanno pagato per un passaggio in auto, saranno in viaggio da due giorni e tra qualche ora, senza imprevisti, giungeranno alla stazione di Bari. Chissà se la polizia acciufferà anche loro.
Mirko Misceo
Pubblicato il 5 Aprile 2011