Cultura e Spettacoli

L’imperdonabile oltraggiò le ninfe

 

A differenza dei prodotti della letteratura contemporanea, i classici riservano sempre sorprese. Per esempio nel Libro XIV delle Metamorfosi di Ovidio si legge di Venulo che, suddito e araldo dei re Catillo e Cora, alleati di Turno nella guerra contro Enea,  viene mandato come ambasciatore presso Diomede, l’eroe acheo appena stabilitosi in Puglia, reduce dalla guerra di Troia. La missione del giovane è convincere Diomede a schierarsi contro Enea. L’ambasceria si rivela improduttiva. Venulo sulla via del ritorno si trova ad attraversare i territori dei Messapi. Attraversandoli vede “una grotta adombrata da fitti boschi e trasudante umidità… anticamente abitata dalle ninfe. Un pastore, Apulo, le aveva spaventate e grazie alla paura che era riuscito a incutere loro in un primo momento le aveva fatte fuggire dalla zona. Poi però quando le ninfe si ripresero e l’inseguitore non fece più loro soggezione alcuna, si misero a intrecciare danze muovendo i piedi a ritmo. Il pastore le derise e, imitandone rozzamente il ballo, rovesciò su di loro parolacce e insulti da bifolco e non la smise prima di essere tramutato in un albero che gli tappò la bocca. Ora è dunque un albero, un oleastro, e il suo carattere si può riconoscere dal sapore dei frutti : che sono amari, perché conservano l’impronta della sua linguaccia ; l’asprezza delle sue parole è passata alle bacche”. Il mito contiene sempre un fondo di verità. Il Salento è ricco di grotte. Alcune di queste erano consacrate a culti misterici. Si immagini allora un culto riservato solo a donne (‘ninfe’). Ma ecco che un giorno un impudente pastore (Apulo) viola il segreto. Più indignate che spaventate, le ninfe-devote fuggono. Appena si sentono al sicuro tornano a danzare e cantare (evidentemente la cerimonia interrotta dal pastore non è di quelle che possono restare incomplete). Ma ecco che Apulo le ritrova e torna a importunarle. E’ troppo. L’impuro deve morire. Forse lo tirano in un tranello e lo avvelenano. La sua successiva trasformazione in oleastro va letta sotto altra luce. Una volta eliminato, Apulo viene seppellito per non lasciare tracce. Il suo anonimo sepolcro è ai piedi di un giovane ulivo. Il contatto delle radici con i cattivi umori che si sprigionano dalla dissoluzione delle spoglie del tristo corrompono la pianta che poco a poco assume un aspetto sgraziato mentre i suoi frutti si fanno amari… Ovidio in sostanza parla di una metamorfosi genetica per effetto della quale un olivo degenera in oleastro, che è poi l’espressione spontanea o inselvatichita della prima specie. Di qui a tramandare che il temerario Apulo pagò il proprio ardire tramutandosi in un arbusto, con ciò dando una spiegazione alla genesi dell’oleastro, fu passo breve per gli antichi.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 24 Marzo 2016

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