Cultura e Spettacoli

Linci ‘pugliesi’? Piuttosto… lonze

Ai tempi di Dante, dietro Palazzo Vecchio, a Firenze, in quella che si chiama oggi Via dei Leoni, c’era un serraglio di bestie feroci. Lì, per la prima volta, il Poeta dovette vedere il tipo di felino che, anni dopo, nel primo canto dell’Inferno avrebbe elevato a simbolo della lussuria col nome di ‘lonza’. Con ogni probabilità Dante aveva visto una lince, animale già allora mitico perché ritenuto dotato di una vista fenomenale e oggi diventato persino più leggendario dopo che l’antropizzazione ne ha sterminato gli habitat riducendone la specie a pochissimi esemplari. Eppure, si parla di lince qui in Puglia. Questo piccolo carnivoro sarebbe stato avvistato nel sub Appennino Dauno, nel Parco del Gargano e nel Parco dell’Alta Murgia. Siamo in presenza del ritorno di questa specie anche nel nostro Mezzogiorno? Una cosa impensabile fino a cinquant’anni fa. A metà Novecento la lince era a rischio estinzione in tutta Europa, mentre veniva considerata estinta in Italia già molto prima. Fra il 1970 e il 1986 furono avviate numerose campagne di ripopolamento in diversi Stati del centro Europa, non in Italia dove addirittura si registrò la scomparsa di alcune interessanti sottospecie : la Lince Alpina e la Lince Sarda. Il successo dell’iniziativa, specialmente in Svizzera, consentì ad alcune linci di varcare le Alpi e diventare stanziali nel nord Italia. Ma come spiegare lo spingersi della lince tanto a sud? Può spiegarsi con l’ibridazione delle linci d’importazione (e anche di esemplari reintrodotti clandestinamente ad opera di appassionati) con colonie autoctone sfuggite alla persecuzione umana e all’inquinamento. Successivamente, gli interventi di salvaguardia ambientale e la re-immissione in natura di specie adatte alla predazione (lepri soprattutto) avrebbero consentito a questi esemplari di ‘nuovo conio’ di tornare a riprodursi in quantità sufficiente a garantirne la sopravvivenza. Ma è proprio il carattere ibrido della ‘nuova’ lince a insospettire gli scettici, il quali a proposito di questi avvistamenti – di cui sono pieni più i social che le riviste scientifiche  – non escludono l’abbaglio e perciò tirano in mezzo il gatto selvatico. Qui parliamo di una specie non ancora scomparsa nell’entroterra centro-meridionale, isole incluse. Più voluminosi dei gatti domestici (arrivano anche a dieci chili), quelli selvatici presentano una livrea meno variegata e il cui colore va dal grigio-brunastro al bruno-sabbia, con colori più chiari man mano che si procede verso sud. Questo poderoso cugino del gatto domestico da cui si distingue anche per la coda corta e grossa ornata dai tipici anelli scuri, condivide con la lince e la lontra una capacità mimetica straordinaria (il gatto selvatico è presente nella Foresta Umbra, dove è totalmente protetto). Ma gli scettici ad oltranza storcono il naso a sentir parlare anche di felis silvestris, che a loro dire si sarebbe così ibridato col gatto domestico inselvatichito da renderne impossibile la distinzione. In conclusione, tornando alla lince ‘pugliese’, non fa meraviglia che in mancanza di prove certe gli spiriti mordaci prendano in considerazione il ritorno da noi… della lonza dantesca. – Nell’immagine, la celebre illustrazione di Guastave Doré a proposito dell’incontro di Dante con la lonza : si noti l’anomala lunghezza della coda del felino, una lunghezza più vicina a quella del leopardo o del ghepardo, piuttosto che a quella della lince, specie nella quale la coda si presenta invece corta e tozza.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 29 Dicembre 2017

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